Intervista a Roberto Michilli su Ennio Flaiano a cura di Simone Gambacorta.
Luglio 2003.
Quali ritiene siano le peculiarità stilistiche di Flaiano?
Flaiano filtrò attraverso l’ironia e il disincanto l’eredità rondista che gli arrivava tramite Cardarelli e riuscì a non restare prigioniero del culto della “prosa d’arte” e del “capitolo”, conservando però il rispetto per il nitore espressivo e per il buon galateo stilistico, nella convinzione che stile chiaro significa idee chiare e riferimento preciso alle cose
Quale ritiene sia stato il contributo di Flaiano alla letteratura italiana?
Flaiano appartiene di diritto alla sparuta pattuglia dei grandi “irregolari” della nostra letteratura. Scrittori come Gadda, Debenedetti, Delfini. Ritengo stia ancora aspettando il suo “lettore ideale”, che riesca a dare della sua opera composita una lettura unitaria e ne metta in rilievo l’eccezionale valore. Dirò solo che, a mio avviso, con il suo “Tempo di uccidere” ha contribuito non poco a svecchiare la lingua, lo stile e i contenuti della nostra narrativa, completando il lavoro di rottura col vecchio romanzo iniziato da Moravia con “Gli indifferenti”
Sono certo che considerare Flaiano come uno sceneggiatore cinematografico “prestato” alla letteratura sia quanto mai sbagliato. Che ne dice?
Le rispondo con le parole dello stesso Flaiano: “Avevo bisogno, per ragioni serie, di denaro. La letteratura non me ne dava, il cinema sì. Poi, una volta entrati in quel giro, è quasi impossibile uscirne. Ma non amavo quell’ambiente, non mi riconoscevo in quel lavoro, ho sempre avuto un senso di colpa, e non perché io presumessi di dover dire grandi cose agli uomini, ma perché sentivo di tradire la mia natura
Cosa mi dice di Flaiano e la scrittura cinematografica?
Il film è un’opera corale, frutto di un lavoro d’équipe in cui, specie in quello d’autore, risulta preminente l’apporto creativo del regista. Il lavoro di scrittura che c’è sotto, quindi, per quanto “forte” possa essere, deve alla fine cedere a compromessi più o meno estesi. Certo, analogie e consonanza di temi ci sono, ma è più probabile che l’opera letteraria, nata al di fuori di vincoli e costrizioni, esprima con maggiore libertà e coerenza l’intimo sentire dello scrittore. Resta il rimpianto per quel “Melampo” che Flaiano sognò a lungo di poter realizzare come regista
Da un punto di vista tecnico, quindi come “addetto ai lavori”, quali sono gli aspetti della scrittura di Flaiano che più apprezza?
La chiarezza, anzitutto; poi la mancanza di sperimentalismi e giochi col linguaggio, che quando non vengono da giganti come Joyce e Gadda, nascondono quasi sempre il vuoto delle idee e dei sentimenti. Trovo inoltre molto attuale quel suo esprimersi per frammenti, il rifiuto o l’impossibilità di utilizzare le forme canoniche dell’agire letterario. Il romanzo presuppone la creazione di un universo coerente e di leggi che ne regolino il funzionamento; per accingersi a una simile fatica occorre credere che ci sia ancora una possibilità di dare un senso alle cose, di ordinare il caos. Una fiducia in se stessi, negli altri e nel mondo sempre più difficile da nutrire per un osservatore disincantato della realtà
Ritiene di poter estrapolare delle costanti dalla produzione letteraria di Flaiano?
Sono d’accordo con Franco Cordelli, quando dice che Flaiano è uno scrittore esistenziale, anzi l’unico scrittore esistenziale che abbia avuto la letteratura italiana, e che la sua forma di scrittura preferita fu il diario, inteso “come arco che si tende allo spasimo per congiungere l’opera alla vita; o viceversa, la vita all’opera
Qual è il pregio fondamentale dell’opera letteraria di Flaiano?
Flaiano costruisce la maggior parte delle sue opere aggregando o incastrando note di diario, aforismi e annotazioni illuminanti. Maria Corti si serve di un’immagine molto suggestiva per descrivere il risultato di questo procedimento, paragonandolo all’”avalovara”, un uccello favoloso come l’araba fenice, il quale ha la proprietà di essere un animale “composto, fatto di uccellini minuscoli come api”, che disposti in modo adatto formano l’uccello più grande. In queste sue “piccole cose” Flaiano concentrò “la vita dell’anima, così come quella di ogni giorno”, liberandola dal superfluo “come il manzo nella caldaia di Liebig”. Tocca al lettore “sciogliere di nuovo questi estratti con le proprie forze, trasformarli in brodo commestibile, farli ribollire nel proprio spirito, renderli insomma fluidi e digeribili.