Verranno a te sull’aure
Maestro direttore e concertatore, nonché flicorno soprano solista era Lillino, l’organista del Duomo. Era titolare anche della scuola di musica serale, che si teneva nella stessa aula al pianterreno delle nuove scuole elementari in cui la banda faceva le prove e formava i nuovi musicanti necessari per continuare a tenere in vita una lunga tradizione.
I bandisti erano tutti operai e artigiani del paese. Solo nelle grandi occasioni l’organico veniva integrato con elementi venuti da fuori.
Totò, primo clarino, virtuoso del “doppio bem”, aveva sposato mia cugina Rita. Faceva il muratore ed era anche bravissimo ad allevare canarini. Muratore era anche Dino, tromba solista e pezzo pregiato di tutta la banda. La sua cornetta d’argento non aveva nulla da invidiare a quella allora celebratissima di Nini Rosso. Peppino, primo corno, era fornaio; Mino, primo trombone, calzolaio, come Antonio, che suonava il bombardino e papà, che dopo aver suonato diversi strumenti, ora si occupava della grancassa. A completare la sezione ritmica, ecco Pasqualino, altro calzolaio, ai piatti e Vincenzo, falegname, al rullante.
Da primavera ad autunno inoltrato, la banda era impegnata a suonare nelle feste patronali. Andava anche fuori regione. Se la meta era lontana, i suonatori partivano il sabato, su un vecchio pullman noleggiato per l’occasione. Quando papà tornava, aveva sempre un regalo per me. Un dolce, un piccolo giocattolo. I soldi guadagnati aiutavano a tirare avanti.
In paese la banda si esibiva a settembre, alla festa della Madonna. Il primo giro lo faceva il mattino presto. Svegliava l’intero paese marciando per le strade a “120” e suonando “Vita gaia”, che era la sua sigla inconfondibile. Al suo passaggio, le finestre si aprivano e la gente si affacciava, magari in pigiama e camicia da notte, ma sempre con la gioia dipinta sul volto. A mezzogiorno, all’uscita della Messa Grande in Duomo, i paesani trovavano i musicanti schierati sotto i portici del Comune e venivano rallegrati da una successione pirotecnica di marce brillanti. La sera, alle nove, c’era il grande concerto. In divisa di gala, la banda saliva sulla rotonda cassa armonica celeste scintillante di luci, e da lì deliziava il folto e competente pubblico col suo repertorio di suite dalle opere liriche più famose e pezzi del grande sinfonismo ottocentesco. In queste occasioni veniva chiamato a dirigerla un direttore di gran nome, e Lillino si esibiva come solista. Erano in molti a ritrovarsi con gli occhi lucidi, quando la voce dolce e suadente del suo flicorno soprano e quella maschia e vibrante del trombone di Mino s’intrecciavano nello struggente duetto dalla Lucia.