Canzone russa

Antón Antónovič Dél’vig (1798-1831), Russkaja Pesnja, Canzone russa, traduzione di Stefano Garzonio.

 

Usignolo, o mio usignolo,
Usignolo canterino!
Dove, dove tu voli?
Dove l’intera notte canti?
Qualcuna, poverella come me,
Tutta la notte ti ascolta,
Senza chiuder occhio,
Annegando nelle lagrime?
Tu vola, usignolo mio,
Vai in capo al mondo,
Oltre gli azzurri mari,
Su sponde straniere;
Visita tutte le contrade,
I villaggi e le città:
Non potrai trovar in nessun luogo
Qualcuno più sofferente di me.
Non avevo io giovinetta
Un anellino splendente sulla mano,
Non avevo io giovinetta
Nel cuore un tenero amico.
Nel giorno autunnale sul mio seno
La grossa perla ha perso lucentezza,
Nell’invernale notte alla mia mano
Si è spezzato l’anello,
E nella presente primavera
Più non m’ama il mio ben.

Le fanciulle russe

Gavriíl (Gavríla) Románovič Deržávin (1743-1816), Russkie devuški, Le fanciulle russe, traduzione di Claudio Maria Schirò:

 

Hai visto, cantore di Teo,
Come sul prato di primavera il byčok
Danzano le giovani russe
Al suono dello zufolo del pastorello?
Come, col capo reclinato, camminano,
Il tempo battendo coi calzari loro,
E piano le mani e lo sguardo muovono
E con le spalle si esprimono?
Come con i loro dorati nastri
Le candide fronti splendono,
Sotto le preziose perle
Il soave petto respira?
Come attraverso le azzurre vene
Scorre il roseo sangue,
Sulle gote, le fossette
Ardenti, l’amore impresse?
Come i loro sopraccigli di zibellino
Lo sguardo di falco colmo di scintille,
I loro sorrisi, le anime da leone
Anche i cuori delle aquile fendono?
Se tu avessi visto codeste leggiadre fanciulle,
Avresti le giovani greche dimenticato
E sulle sensuali ali
Il tuo Eros verrebbe incatenato.

Il fiore

Vasílij Andréevič Žukóvskij (1783-1852), Cvetok, Il fiore, traduzione di Domenico Ciampoli:

 

De’ campi vaga bellezza fragile,
O solitario ed appassito fior;
Il bieco autunno da la mano gelida
Con la vita ti toglie lo splendor.

L’istesso fato pur me perseguita,
La stessa sorte egual destin ci diè:
Dalla corolla tua si stacca un petalo,
Ed una gioia vola via da me.

E tutti i giorni seco travolgono
E pensieri e profumi e voluttà;
E tutte le ore passano, o distruggono
Le vaghe fantasie che il cor ci dà.

Guarda: i tuoi petali tutti sparirono,
Anche la mia speranza, ahi, sen fuggì!…
Or chi mai potrà dir per qual più rapidi,
Se per la vita o il fior, passino i dì?

L’Italia

Dmítrij Vladímirovič Venevítinov (1805-1827), traduzione di Anastasia Pasquinelli.

 

O Italia, patria dell’ispirazione!
L’ora per me verrà di riuscire infine
Ad amarti, colmo d’estasi beata,
Come già, in un sogno radioso, la tua immagine amo.
Senza rimpianti dalle mie fantasie prenderò commiato,
E per davvero, dai tuoi splendori circondato,
Sotto lo zaffiro dei tuoi cieli scintillanti,
Sfrenerò a suo piacer l’anima mia
Sotto la fiammeggiante, infinita vòlta celeste.
Come gaio appare là d’oro il mattino
E come dolce la notte argentata!
O valle di lagrime! dai miei pensieri vattene allora!
Tra le braccia d’ogni dolcezza ed in creativa quiete
Vivrò fra i cantori di un tempo,
Traendo le lor schiere dai sepolcri!
Allora, o Tasso! Il tuo tranquillo sonno turberò,
E il tuo fervore, il tuo canicolare fuoco
Trasfonderà la vita e dei dolci canti il dono
Nella fredda mente e nell’anima settentrionale.