# Alba adriatica, 30 luglio 1998, ore 16:10
Ho finito tra ieri sera e oggi “La forma dell’acqua”, il primo dei 4 romanzi di Camilleri che hanno per protagonista il commissario Montalbano. Nel pomeriggio di ieri sono dovuto risalire a Teramo per fare un nuovo contratto con Omnitel e permettere così a Titti di portarsi il telefono in Grecia. Ne ho approfittato per passare da Ipotesi a comprare tutti e tre i romanzi che non avevo ancora letto. Ieri avevo anche finito “Un mese con Montalbano”, il libro di racconti di cui ho già scritto. Sono in preda anch’io, evidentemente, alla Camilleri-mania che ha preso tutta l’Italia che legge. Basta guardare alle classifiche dei libri più venduti per rendersene conto. Camilleri ha piazzato tra i primi venti tutta la sua produzione, non solo questi romanzi e racconti con Montalbano protagonista ma anche quelli dell’altro suo filone che si potrebbe definire “storico”, con storie ambientate nella Vigata di inizio secolo. E’ un bell’esempio di successo “tardivo”: Camilleri è del ’25! E’ incoraggiante, anche.
Ora, a chi lo vado a dire che senza conoscere niente dei suoi scritti avevo immaginato anch’io una situazione simile a quella che ha decretato il suo successo?
Nell’unico tentativo di racconto giallo in cui mi sono cimentato infatti (ma come ho fatto negli anni passati a scrivere tanto seduto a questo tavolo? e’ di una scomodità allucinante. Intanto è troppo alto, e poi la sedia non ha i braccioli e mi stanco a tenere le braccia sollevate) avevo delineato d’istinto una serie di tòpoi che si ritrovano nei romanzi del nostro. Esemplifico: il mio Ricci ha molto di Montalbano, non solo l’età anagrafica, ma anche l’atteggiamento nei confronti della vita e del mestiere; il brigadiere Fazio assomiglia molto a Straffi; Montalbano ha Livia e per Ricci c’è Anna; per entrambi la città in cui vivono e lavorano diventa uno dei personaggi della storia, ecc. ecc.
Per quanto riguarda poi l’intreccio, mi sono accorto che anche un lettore avvertito (tale mi reputo, presuntuosamente forse) non sta tanto a guardare alla coerenza e alla verosimiglianza, ma è preso piuttosto dal desiderio di sapere “cosa succede poi” e “come va a finire”. Sono queste le molle che spingono a proseguire nella lettura, insomma, e la cosa più importante è trovare una scrittura che le assecondi, creando una specie di flusso magico che tenga avvinto il lettore senza che nulla venga a disturbarne il rapimento. Scrittura fluida, quindi, funzionale, liscia, senza intoppi. Se questa specie di incantesimo regge, possono passare inosservati e inavvertiti anche buchi o forzature dell’intreccio. Altra cosa che avvince è creare un mondo vivo e riconoscibile, con figure secondarie che si ripresentino con le loro caratteristiche ben delineate, un mondo, insomma in cui il lettore impara a muoversi e in cui ha piacere di ritrovarsi.
Camilleri aggiunge a questo il sapore di quelle succulente uscite in dialetto che senza affatto disturbare la scorrevolezza della scrittura la arricchiscono e la rendono più divertente e sapida.
Perché non mi ci metto con più convinzione? Per una serie di motivi. Mi piace leggerle queste storie, ma non credo che siano ciò che vorrei scrivere. Forse sbaglio, e mi perdo probabilmente dietro una suddivisione in generi che non ha molto senso. Comunque non è detto che non ci (ri)provi.