Marcello D’Alessandra su Fate il vostro gioco

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Vita di un’ossessione
di Marcello D’alessandra

«Il sottoscritto», maggio 2008

Al suo esordio Roberto Michilli aveva scritto un romanzo sul desiderio che diventa totalizzante ossessione (Desideri, Fernandel 2005), variamente declinato in quattro storie a comporre un mosaico di piacevole, non pretenziosa lettura. Storie sulla rovinosa spirale in cui un uomo può cadere se abbandona tutto se stesso a un impulso passionale, in quel caso di specie quasi sempre erotica. Col suo nuovo romanzo (in verità precedente alla prova d’esordio, pubblicato solo ora dopo lavoro di revisione), l’autore ha scritto una storia che potrebbe facilmente accostarsi alle precedenti, sebbene priva di certi studiati rimandi che legavano tra loro quelle, e per una certa diversità d’intonazione. Anche questa è la storia di un’ossessione, e tra le più ricorrenti, anche letterariamente: quella per il gioco. Il protagonista, dopo aver dilapidato la propria fortuna al tavolo verde, trova un impiego e fa carriera presso un casinò – quando si dice il destino –, e la passione divorante, unita a una volontà di riscatto contro l’avversa fortuna, lo conduce ad accarezzare il sogno di mettere a punto un sistema di calcolo che gli consenta di prevedere, con buona approssimazione, contando anche sui difetti presenti in ogni roulette, dove la pallina andrà a fermarsi. Strumenti utili all’impresa sono i personal computer (la narrazione è collocata nella fase ancora pionieristica, primi anni Novanta, dei mezzi informatici, e c’è dentro lo stupore carico di aspettative per queste macchine cervellotiche). E così finalmente realizzare il sogno di ogni giocatore e vincere la sua personalissima sfida, la sua ossessione. «Si commette peccato – scrive Pavese nel suo diario – per liberarsi della sua ossessione»: possibile ideale epigrafe alla narrativa, almeno fino ad oggi, di Michilli. E’ ancora una storia, come già nel primo romanzo, della piccola provincia italiana, che l’autore – vive a Teramo – conosce dal di dentro; l’ambiente è quello della borghesia, tra un passato di nobiltà decaduta (il cui patrimonio il protagonista ha prosciugato col vizio per il tavolo verde) e intraprendenza tipica dei piccoli centri operosi (un negozio di foto-ottica era il luogo al centro della precedente narrazione, qui c’è un salone da parrucchiere ultimo grido che fa affari e detta uno stile). E della provincia Michilli racconta le ossessive manie, le smanie che facilmente conducono alla perdizione, alla rovina; o, come stavolta sembrerebbe, a fortune da leggenda, di quelle raccontate con stupore morboso dai paesani nei loro ritrovi. Ma qui rispetto al suo esordio il tono è più lieve, divertito. La narrazione piana, lineare, priva di particolari rivendicazioni linguistiche – una scrittura al servizio del lettore, ama ripetere l’autore –, qui si prende l’agio ulteriore di un tono conversevole anche più svagato e disteso. Durante un viaggio in treno, un passeggero racconta all’altro, per l’occasione conosciuto, una storia che si concluderà appena giunto alla stazione di arrivo. Un racconto, un libro di quelli buoni da leggersi in treno – suggerisce per metafora la narrazione –, per rendere il viaggio più lieve e se possibile perfino piacevole. Anche la tensione della vicenda narrata, carattere peculiare del precedente romanzo, con la passione che là accerchiava il personaggio, fino all’annientamento, qui facilmente si stempera nel tono scanzonato, quando non auto-canzonatorio, assunto dal narratore-protagonista. In fondo, sembra suggerirci, non è che un gioco tutto: la vita, il racconto che ne facciamo, come in treno a un signore curioso, che in mancanza di meglio, in quel momento, è disposto ad ascoltarci. Fate il vostro gioco è il titolo – ben scelto, anche per le suggestioni possibili – del romanzo: attorno a una roulette ciascuno è chiamato a puntare sul numero giusto, a scommettere con la sorte e col proprio destino; la pallina che corre, “tac, tac, tac”.

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