Intervista di Anna Fusaro su San Giuliano

«il Centro», lunedì 1 aprile 2019

«Traduco Flaubert la sua “Leggenda”  è la mia ossessione» 

Lo scrittore teramano pubblica con Di Felice la nuova traduzione «del racconto perfetto»  di Anna Fusaro. 1 aprile 2019

TERAMO . «Flaubert è una mia ossessione antica, come Lermontov. Scrittori incontrati nell’adolescenza che ho continuato a frequentare nella vita adulta. Lessi il racconto di Flaubert cinquant’anni fa e provai subito una sensazione di turbamento, percependo qualcosa sotto la perfetta superficie del testo. Da allora non ho mai smesso di interrogarmi su di esso fino a quando, nel 2010, ho progettato questo lavoro». Lo scrittore abruzzese Roberto Michilli parla con trasporto dell’ossessione per Gustave Flaubert e in particolare per uno dei suoi tre testi brevi, “La leggenda di san Giuliano l’Ospitaliere”, pubblicato nei “Trois contes” nel 1877, che ha tradotto per Di Felice Edizioni. Il libro (stesso titolo dell’originale, 483 pagine, 26 euro) propone la traduzione di Michilli (28 pagine) con testo originale a fronte e un corposo, colto e documentatissimo saggio dell’autore camplese sulle risposte offerte al mistero del racconto flaubertiano da una cinquantina di studiosi attratti (e turbati) da esso. Stanno qui importanza e originalità di un’operazione, coraggiosamente sposata dall’editrice abruzzese Valeria Di Felice, che sonda uno degli enigmi della letteratura. Perché Flaubert racconta la storia del santo parricida e matricida? Perché impiega trent’anni a scriverla da quando, 23enne, è folgorato dalla raffigurazione (riprodotta in copertina) sulle vetrate della cattedrale della natìa Rouen dell’atrocità commessa da Giuliano? 
Il protagonista della leggenda medioevale alla fonte del racconto è il figlio di un signorotto che passa il tempo cacciando per il puro gusto di sterminare animali. Dopo aver colpito a morte un cervo, la compagna e il loro piccolo, viene maledetto dal cervo morente che gli annuncia che un giorno ucciderà il padre e la madre. Anni dopo Giuliano massacrerà al buio i genitori pensando che i due corpi nel suo letto siano quelli della moglie e di un amante. 
Fattosi mendicante, passerà il resto della vita a espiare, fino all’incontro con Cristo nei panni di un lebbroso. Leggenda frequentata da pittori come Masolino da Panicale fino alla rilettura contemporanea di Yorgos Lanthimos nel film “Il sacrificio del cervo sacro”, la breve storia raccontata da Flaubert ha suscitato in Michilli molti interrogativi. «Come scrivono Proust e Joyce, “La leggenda di san Giuliano l’Ospitaliere” è l’opera più perfetta di Flaubert, che scrisse solo capolavori. Sembra un ingenuo racconto di fate, ma trasparenza e semplicità sono solo apparenti. Questo racconto è come il monolite di “2001: Odissea nello spazio”, perfetto nella forma esteriore e misterioso nell’essenza. Nella mia indagine mi sono sentito confortato dal fatto che tanti studiosi, critici, scrittori avessero provato la mia stessa sensazione di disagio».
A quale conclusione è giunto? Cosa voleva dire Flaubert con la storia di Giuliano?
«Flaubert “è” tutti i suoi personaggi, ma forse in Julien c’è di lui più che in tutti gli altri. Nel racconto c’è qualcosa di più riposto. Il sentimento di insofferenza, se non odio, verso la figura paterna. Simbolicamente Flaubert proietta nelle pagine il desiderio subliminale di uccidere il padre. Formalmente il testo è una meraviglia, un capolavoro da una semplice leggenda. Ma s’intuisce qualcosa di personale. Flaubert ha voluto dirci di aver sofferto da bambino, di essersi sentito non accettato. Era il secondo figlio del chirurgo Achille, che aveva già l’erede maschio, il primogenito Achille, bravissimo, destinato a fare il medico pure lui. Gustave provò a fare l’avvocato, la stessa scrittura fu un ripiego. Il padre continuò a guardarlo come un fallito».
Com’è giunto a questa lettura psicoanalitica?
«Mi sono chiesto perché uno dei massimi scrittori di tutti i tempi, il più grande con Tolstoj e Proust, amato dagli scrittori, si sia portato dentro una storia per trent’anni, per poi scriverla nel momento peggiore della sua vita. Un momento di disperazione in cui, dopo lutti e perdite, si ritrovò in povertà. Sentiva di essere alla fine e di dover dire qualcosa che gli premeva dentro. Lui che non improvvisava mai e progettava ogni dettaglio dei suoi libri, circondato da un apparato di carte e appunti, scrive “La leggenda” in una stanza d’albergo di un paese bretone sull’Atlantico senza documentazione. Solo penna, inchiostro, carta».
Nel tradurre il testo ha tenuto conto del sottotesto e delle analisi degli altri studiosi?
«Tradurre per me è un modo di appropriarmi di un testo. Nelle tre traduzioni precedenti (Ferrari nel ’27, Agosti ’83, Itri ’94, ndc) non viene intuita la bellezza della dimensione nascosta del racconto. Un mondo nascosto di cui Sartre dice qualcosa. Nel saggio mi confronto con una cinquantina di studi di autori mai tradotti in Italia. Ho potuto tener conto di tante implicazioni, anche stilistiche, e interpretazioni, avendo più tempo di un traduttore di professione».
Pensa di tradurre e ripubblicare gli altri due testi dei “Trois contes”, “Un cuore semplice” e “Erodiade”? 
«No. Li ho già tradotti, sono bellissimi, ma non hanno avuto in me la stessa risonanza della “Leggenda”». 

Roberto Michilli (Campli,1949) vive a Teramo. 
Ha pubblicato: le raccolte di poesie Aprire un giorno (1996), Attraverso la vita (prefazione Giuseppe Pontiggia, 2001), Nuovi versi (2004); i romanzi Desideri (2005), Fate il vostro gioco (2008), La più bella del reame (2011), Il sogno di ogni uomo (2013), Atlante con figure (prefazione Tiziano Scarpa, 2016), L’attesa della felicità (2018). 
Cultore di letteratura francese e russa dell’Ottocento, ha tradotto e curato la raccolta delle poesie di Lermontov: “Michail Jur’evič Lermontov, Quaranta poesie” (2014), menzione d’onore all’8° Premio letterario internazionale “Russia-Italia. Attraverso i secoli”. Di Lermontov ha scritto anche la prima biografia edita in Italia: “Il prigioniero. La vita, il tempo e le opere di Michail Jur’evič Lermontov (2015). Oltre che dal russo (Lermontov, Puškin, Tjutčev, Baratynskij, Achmatova, Mandelštam, Pasternak) ha tradotto dal francese, inglese, tedesco (Mallarmé, Verlaine, Byron, Keats, Goethe, Heine). Giurato del Premio Teramo dal 2006. 
Dal 2010 ha il blog larmegliamori.wordpress.com.



Roberto Michilli

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