L’attesa della felicità e Sentimentàl tra i Merli Bianchi (il giorno dopo)



Ringrazio Margherita Di Marco e Alessandra Zancocchia per avermi accolto in questo spazio magico, Giovanna Frastalli per l’intervista, Pino Manzella per avermi fatto vedere le sue straordinarie immagini e Valeria Di Felice per l’affettuosa vicinanza.

Leandro Di Donato su L’attesa della felicità

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Roberto Michilli

L’attesa della felicità

Con il nuovo libro L’attesa della felicità, De Felice Edizioni, 2018, il suo sesto romanzo ma ha all’attivo molte ed importanti pubblicazioni, dalle raccolte di poesie alla biografia di Lermontov, Roberto Michilli affronta quello che è il tema centrale della nostra vita, il nucleo attorno a cui si tessono le vele per raggiungere la terra promessa che, ogni giorno, cerchiamo, agogniamo, immaginiamo. Inutile dire che su questo argomento si sono cimentati scrittori, filosofi, scienziati e sono stati versati oceani di inchiostro perché, in fondo, la felicità è il centro motore delle nostre esistenze e quindi di ogni scrittura e di ogni letteratura. Occorre, però, precisare subito che Roberto Michilli non si riferisce alla ricerca della felicità intesa come spasmodica spinta alla conquista di una condizione o di uno status, quanto, piuttosto, a quello che potremmo definire un moto gentile, cioè uno spostamento dello sguardo, un cambio di posizione, una modifica della postura mentale che non esclude la radicalità della consapevolezza ma solo l’affanno della rincorsa di uno più obiettivi. L’attesa, in questa accezione, è quindi una scelta filosofica e, insieme, un atteggiamento emotivo, una capacità di disporre in altro ordine priorità, accadimenti, godimenti e percezioni dell’avventura quotidiana del vivere. Con questo volume Roberto Michilli esce fuori dalla sua geografia consueta, dai luoghi e dalle atmosfere che abbiamo conosciuto e riconosciuto nei suoi precedenti lavori, per portarci in un albergo di una nota località termale del Veneto, anche se il nome non viene mai citato. Elio, maturo professore universitario di francese e studioso di Stendhal, torna a distanza di due anni dalla morte della moglie, nell’albergo in cui si sono recati per quindici anni consecutivi per trascorrere le loro due settimane di ferie. E davvero non poteva esserci luogo migliore di un albergo termale per entrare, fin dalle prime righe, in una sospensione del tempo e in un cambiamento di ritmi che, se sono tipici di ogni vacanza, qui acquistano una maggiore profondità e il respiro dei corpi e delle anime che, con linguaggi e codici diversi incideranno in profondità lo svolgersi della vicenda, si sente in ogni pagina. Elio ritrova la sua vecchia camera, quella che negli ultimi dieci anni ha occupato con la moglie Anna, ma è diversa perché tutto il piano è stato ristrutturato e le stanze sono state trasformate in suite. In fondo anche lui è lo stesso di sempre, ma in realtà è molto cambiato e la morte della moglie lo ha segnato profondamente. Questa coesistenza di dimensioni apparentemente contraddittorie, ma che sono la regola, forse quella più importante delle nostre vite, è una delle chiavi di questo libro che ci offre uno scorcio nuovo da cui guardare il dipanarsi degli avvenimenti e le scelte dei protagonisti. Michilli, come nei precedenti romanzi, ma qui con accenti più profondi, riesce magistralmente a descrivere luoghi, oggetti e personaggi trovando una misura esatta e formidabile tra presentazione dei contesti e analisi delle  psicologie e del gioco delle emozioni, arrivando a farne una sorta di invito avvolgente e cortese che ci fa sentire ospiti attesi e graditi delle sue residenze narrative. Elio ritrova il carissimo amico Giulio, la moglie Elena e la loro figlia Rita con i quali lui e Anna avevano stretto amicizia fin da quando erano andati per la prima volta in quell’albergo; amicizia coltivata e rinsaldata lungo il corso degli anni. Ritrova altre persone a lui care come il Monsignore, un alto prelato con cui intrattiene amabili e approfondite conversazioni su temi diversi, dalla letteratura alla filosofia, dalla religione alla politica e Donna Fiorenza, una anziana cantante lirica di grande talento, famosa negli anni Cinquanta e Sessanta per la sua bravura e bellezza. Tutte le figure, anche quelle minori, sono scolpite con precisione e tutte, grazie ad una sapiente regia narrativa, concorrono allo sviluppo della storia trovando il loro posto e il loro ruolo con assoluta naturalezza. Questa, ed è un vero piacere sottolinearlo, è la cifra dello scrittore Michilli che, con profondo e autentico rispetto, consegna ai lettori una pagina senza mai un elemento fuori posto o in eccesso, con una nitidezza e tenuta di scrittura che, unite al fluire lieve ed intenso della lettura, ne fanno un vero e proprio dono. Michilli è riuscito a definire con precisione la sua lingua di scrittore facendone la voce naturale della sua creazione letteraria. Esattamente come ha costruito la sua topografia, come raccomandava di fare ad ogni scrittore Piero Chiara, così ha trovato e distillato la sua lingua che esprime, ne è appunto la voce naturale, il suo mondo e le sue atmosfere al punto che non solo vi aderisce perfettamente, ma non potrebbe essere che così. Ad uno sguardo distratto, ad una lettura meno attenta potrebbe sembrare solo una lingua senza compiacimenti, sperimentalismi e inutili orpelli retorici che spesso celano malamente cali di tensione o, peggio, fragilità e cedimenti della narrazione. Sarebbe già tanto così, ma c’è di più perché essa, esattamente come i suoi personaggi e i suoi paesaggi,  naturali ed umani, regala ad una lettura meditata il piacere, da vivere con la stessa lentezza di una attesa felice,  della pienezza e della profondità. E quando ci troviamo di fronte a questo equilibrio, a questo impasto che lievita e alimenta, possiamo dire davvero che siamo al cospetto di uno scrittore che ha saputo costruire il suo mondo nuovo, diverso, originale, riconoscibile e dargli voce, l’unica che sentiamo talmente adeguata da definirla appunto naturale, cioè insostituibile e, anche qui, riconoscibile.

Ne L’attesa della felicità non ci sono accadimenti drammatici, anzi tutto sembra svolgersi in modo prevedibile e quieto: le visite mediche, le cure termali, i fanghi, i massaggi e le inalazioni, i pranzi e le cene, le passeggiate in centro, i riposi pomeridiani. Tutto regolato e tutto regolare. A questa tranquilla scansione delle ore e dei giorni l’Autore, pian piano, affianca, quasi un contrappunto, un altro tempo dettato dall’addensarsi di dubbi, dai primi scricchiolii di equilibri che sembravano saldissimi e poi da tempeste interiori che investono Elio, in modo particolare, e i suoi amici. In questa nuova dinamica riveste un ruolo importante Silvia, la giovanissima e bellissima donna, precocemente segnata dalle avversità che, diventata amica di Elio e poi, suo tramite, anche di Rita, Elena e Giulio, con le sue domande franche e dirette squarcia il velo di convinzioni assurte al rango di verità assolute su cui Elio, ma non solo lui, ha costruito tutta la sua esistenza. Gli equilibri una volta rotti non si possono né ignorare né riappiccicare; le domande mai fatte, quelle che scavano e fanno male, si impongono alla coscienza e costringono a guardare dentro i più nascosti labirinti di ombre che portiamo, ciascuno a suo modo, dentro di noi. Si svela così la trama dei desideri che, come un fiume carsico, erompe in superficie e illumina quella sottile rete di rapporti che non si è mai avuto il coraggio di riconoscere e che ridisegna l’universo degli affetti e colloca in modo nuovo l’attesa della felicità. Diventa così ineludibile affrontare il passaggio stretto e ruvido di nuove realtà che impongono di fare, fino in fondo, i conti con sé stessi. Elio rivede le scelte che hanno segnato la sua vita e quella di Anna, i rapporti con Giulio, Elena e Rita scoprendo una realtà diversa e sorprendente, che scompone tutte le tessere del suo  mosaico. Il possibile sovvertimento di un ordine delle cose, che a sua volta regge l’ordine dei nostri mondi, pone i personaggi di fronte ad una alternativa: varcare il confine e affrontare le incognite e i rischi di una possibile felicità o ripiegare sogni e progetti e chiudere il passaggio verso una nuova condizione. Qui, nelle opportunità date dal riconoscimento dei desideri e dall’assunzione di nuove responsabilità che ciò comporta,  risiede il nucleo profondo della visione e della scrittura di Roberto Michilli e il suo originale punto di osservazione – nella narrativa italiana contemporanea – posto al centro di una rottura, al crocevia tra vecchie e nuove verità, tra rischi e possibilità.

Elio uscirà dalle due settimane di vacanza nelle terme profondamente cambiato,  anche grazie a Rita, che con Silvia, svolgerà un ruolo chiave. Spinto dalle sue domande e rivelazioni riuscirà a far emergere verità a lungo negate e desideri respinti nel più profondo dei recessi. Rita, dopo aver divelto ipocrisie e resistenze, riuscirà a farsi dare da Elio la camicia e la maglietta di lana e a condurlo, così, per mano in una corsa sotto la pioggia. Questa è per Elio la sfida massima, stante l’attenzione puntigliosa, quasi maniacale, con cui si copre con le sue adorate magliette di lana, che segna l’attraversamento di una linea di demarcazione, un punto di non ritorno. Rita, con l’acqua calda della piscina termale, lo battezzerà “uomo nuovo e libero” e questo battesimo pagano sarà per Elio una vera rinascita che lo porta ad accettare la prova di riconoscere e dar voce ai suoi sentimenti. Ma quando appare prossimo ad una svolta radicale e positiva, la situazione cambia di nuovo e perde il filo di una possibile felicità. Sembra la fine di tutto. Invece, con una mossa sorprendente, la mossa del cavallo, opera una scelta totalmente diversa, afferrando un altro filo, di diverso colore, a cui legare una nuova attesa di felicità. In questo arco di tempo riesce a finire il saggio su Stendhal su cui lavorava da oltre 15 anni, ed anche questa è una pagina che chiudendosi, apre una nuova prospettiva. Le scelte dei personaggi regalano molti colpi di scena e tutti, sia pure in modo diverso, imprimeranno delle svolte alle loro vite. C’è poi un personaggio, Giuliana, la massaggiatrice, la cui presenza discreta cresce pian piano fino al colpo di scena, davvero straordinario, che chiude il romanzo. Vanno poi sottolineati altri elementi che, lungi dall’essere marginali, conferiscono all’opera ulteriore valore. Il primo è la capacità di Elio di distinguere gli odori e di scomporre i profumi nelle essenze che lo compongono. Il “naso” del protagonista qui assurge a metafora generale di un tempo che non sa più riconoscere le fragranze, ci accontentiamo di surrogati standardizzati e mediocri, e che non sa più distinguere e quindi apprezzare le cose importanti della vita. Il secondo è lo sguardo del protagonista che non oltrepassa le persone, i luoghi , i monumenti ma, al contrario, si sofferma su di essi, ne rileva le forme, accarezza i rilievi e dona attenzione alle persone che affollano le vie o i ristoranti. Anche questa è una potente e preziosa metafora che ci ammonisce sulla regressione e il conseguente impoverimento delle esplorazioni del mondo che viviamo. Non solo abbiamo perso la capacità e il gusto di farci sorprendere dagli aromi diversi ma, cosa ancora più grave, abbiamo smesso di guardare gli altri e di riconoscerli. Il nostro sguardo, spesso, troppo spesso, non è un fascio di luce che fa scoprire volti e angoli sconosciuti o riscoprire quelli noti, ma un riflesso inerte di un interesse ormai spento per la vita che ci scorre vicino. Michilli descrive con precisione, ci fa davvero vedere, offrendoci in prestito il suo sguardo acuto, penetrante, empatico, le persone che Elio incontra nelle strade, nelle terme, nel ristorante; ci dice di come occupano lo spazio, come sono vestiti, cosa fanno e come lo fanno; chi e come siede, abita temporaneamente mi verrebbe da dire, sulle panchine e i tanti mondi che scorrono paralleli nelle strade e nelle piazze. Altra notazione, credo rilevante per scoprire ed apprezzare i tanti versanti di questo libro, è che Michilli come Pollicino, semina, con discrezione,  titoli di libri  come le famose mollichine, tracciando tra le righe una mappa di sentieri di letture e di indicazioni per possibili, ed auspicabili aggiungo io, approfondimenti. In questo quadro si può collocare, tratta dal romanzo di Stendhal, Il rosso e il nero, la definizione di romanzo portato come “uno specchio per la strada maestra in modo che possa riflettere l’azzurro del cielo e il fango dei pantani .”  Questa definizione, cui aderisce, credo, anche l’Autore, e che vale non solo per la letteratura, ci dimostra una volta di più, grazie a Roberto Michilli, che la vita raccontata nelle pagine riesce a illuminare molte pieghe di quella vissuta. In fondo, ci ricorda l’Autore, la posta in gioco è, sempre, trovare il punto di equilibrio tra rotture, smottamenti e nuove costruzioni. E dunque, ancora con Stendhal, “l’attesa della felicità è una delle poche possibilità che abbiamo per rendere meno infelice la nostra esistenza e imparare ad apprezzare l’aspettativa di cose liete, anche minime, e magari operare in modo da crearla”. E operare, sempre nell’accezione michilliana di cui si è detto all’inizio, per creare la felicità è quello che fanno i personaggi di questo libro, dimostrando ognuno in modo diverso che, almeno qualche volta, l’attesa della felicità non è impresa votata programmaticamente al fallimento e alla produzione di delusioni e frustrazioni. Roberto Michilli, anche con questo romanzo, si conferma uno scrittore che non solo padroneggia appieno tutti gli strumenti della scrittura ma, cosa più importante, porta avanti con coerenza, e qui con accenti nuovi che arricchiscono la sua tradizionale tavolozza dei colori, e grande forza narrativa la sua originale e suggestiva ricerca di un punto preciso da cui cogliere la forza vitale delle contraddizioni e il senso profondo del nostro agire. Con L’attesa della felicità Roberto Michilli rende vera l’affermazione dello scrittore Hermann Broch, per cui “La sola ragione d’essere di un romanzo è scoprire quello che solo un romanzo può scoprire”.

Leandro Di Donato

 

L’attesa della felicità a Campli (il giorno dopo)

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Ringrazio il Comune di Campli, Pietro Quaresimale, Federico Agostinelli, Roberto Ricci, Davide Francioni, Evy Di Berardo, Leandro Di Donato, Valeria Di Felice, Beniamino Procaccini, l’associazione Memoria & Progetto Onlus, La Pro Loco Città di Campli, Giuseppe Michilli e tutti gli intervenuti.


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