Esercizio di comprensione del testo #3

Lo scorso 5 giugno, nella “Bianca” di Einaudi, è uscita la raccolta Le nuvole e i soldi di Tiziano Scarpa. «In questo piccolo libro» scrive Susanna Tartaro ,  «c’è il distillato dell’opera completa di Tiziano Scarpa fino ad oggi, c’è l’elemento performativo, […] c’è la fiaba e la realtà, il ribaltamento, l’allucinazione, e lo sberleffo arlecchinesco finale». E c’è anche, aggiungo io,  una poesia che contiene un vero e proprio manifesto poetico sul quale dovrebbero riflettere i tanti improvvisati, imperversanti e purtroppo prolifici facitori di facili versi. La pubblico con il permesso di Tiziano Scarpa, che ringrazio.

Esercizio di comprensione del testo #3

In particolare che cosa intende
il poeta quando dice che sente
di doversi guadagnare il diritto
di scrivere poesie?

E deve guadagnarselo ogni volta
da capo ad ogni singola poesia?

Perché questo diritto
non sarà mai acquisito,
neanche se avesse scritto L’Infinito
m’illumino d’immenso
o avesse vinto il Nobel?

In che senso questo suo stato d’animo
va messo in relazione con la metrica?

Come se strutturare
le frasi in settenari-piroette
e gravi endecasillabi
dovesse dimostrare
che si è impegnato, che si è preso cura
di ogni accento parola per parola
della sua giacitura
non come viene viene
e avesse faticato e speso ingegno
per scoprire una ritmica

che cosa tambureggia
nel cuore delle cose

ma senza trasformarle in filastrocca
in filigrana, invece, in trasparenza
soltanto traguardando
mentre lui parla, sotto le parole
si sentono pulsare
i secoli passati
la tradizione, la dimenticanza
la libertà di andare
da un’altra parte, di fare tutt’altro

così intrecciando ritmi
camuffando impastando
innocenza e superbia
si conquista il diritto
di dire la sua morte
le falene la guerra
il suo amore imperfetto

 

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