E’ molto difficile restare in sintonia con quella parte di te che anela a qualcosa di più e di meglio continuando nello stesso tempo una diuturnitas che non solo dal meglio e dal più è assai lontana ma, cosa ben più grave, non sempre ti consente la grazia del distacco dalle sue banali vicende: tende sempre a coinvolgerti e a richiederti una parte più grande delle tue energie, della tua disponibilità (non solo materiale). Ho avuto difficoltà infatti anche a buttare giù queste due righe dopo giorni e giorni trascorsi in (sterili) discussioni di lavoro. Quella dell’intellettuale è un’attività altamente professionale che fa uso, come materia prima, del tempo. Tempo per leggere, per scrivere, per riflettere, per annoiarsi, passeggiare, guardare il cielo, dormire, parlare con gli amici, incontrare persone, viaggiare, nascondersi, fuggire. Il mezzo servizio, come si può facilmente arguire, è estremamente difficoltoso e poco, pochissimo produttivo.
Pur con la migliore disposizione di spirito, tra lavoro, straordinari, turni, famiglia e altri inevitabili impicci si riesce a malapena a tenersi aggiornati , non parliamo perciò di “campagne di scavo”. Mah, andiamo avanti.
Domani saranno dieci anni che mi sono sposato. Sarebbe il caso di guardarmi un po’ dentro (anche) riguardo a ciò. (Beethoven, Appassionata, Brendel).
PS:
Ieri sera, dopo moltissimo tempo, mi sono incontrato di nuovo con gli amici. Non uscivo da tanto. E’ stato piacevole. Buone le salsicce e il pane.
PPS.:
Spiccioli ripescati (da un’agenda che mi tenevo dietro al mare):
– “Il riposo psicologico è dato solo dalla contentezza e dalla mancanza di timore che la contentezza venga interrotta”. Da un articolo in cui si parlava di riposo e di vacanze e dove si diceva anche che per il riposo fisico dell’organismo bastano poche ore.
– “E donde viene agli esseri la nascita, là avviene anche la loro dissoluzione secondo necessità, poiché si pagano l’un l’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia, secondo l’ordine del tempo”. Anassimandro, Fr. 3 (I), da “I Presocratici”, Einaudi 1976. C’è dentro qualcosa che ho pensato e in cui credevo anche prima di leggere il frammento di A. Il senso di una qualche forma di cosmica equità, di una stanza di compensazione universale del dare e dell’avere di tutte le cose, di una forza immensurabile che tende al ripristino degli equilibri interrotti. Bisognerebbe approfondire. (Questa sta diventando una formula rituale. Altro che storie questo si chiama rinviare ad kalendas; è la pigrizia è il rifiuto di faticare per allargare il proustiano “lieve solco”, ma ho pazienza, siamo agli inizi e certe “cadute” sono in fondo comprensibili).
– Campagna sul mare / giallo oro di spighe su sfondo azzurro cupo e verde / nuvole bianchissime gonfie come spuma / vento che le muove piano / silenzio / pace / ulivi / case / animali / sole al tramonto / luminosissimo un raggio / da un foro tra le nuvole / splende all’orizzonte sulle colline / rosso come il fuoco. (Colline del primo entroterra. Montepagano-Cologna, 28 giugno 1982, un giro in macchina con O e i bambini).
– “Anima incoerente che è l’uomo, sfibrato da ferite ch’egli stesso ha il potere di sanare! la cui vita è tutta una contraddizione della sua sapienza! la cui ragione, il dono più prezioso fattogli da Dio, serve (non a versare tre gocce d’olio) ma solo ad acuire la sua sensibilità, a moltiplicare le sue pene, a renderlo più triste e più inquieto sotto di esse! Povera, infelice creatura, che debba essere destinata ad agire così! Non bastano le cause di afflizioni fatali in questa vita, perché egli debba aggiungerne altre di propria volontà, aggravando il suo retaggio di dolore? perché egli debba lottare contro mali ineluttabili e rassegnarsi ad altri che potrebbe per sempre allontanare dal suo cuore accettando la decima parte del disturbo che gli costano a subirli?” (dal Tristram Shandy, ed. Mondadori Oscar, p. 119).