
DUE LIBRI, UNA PAGINA (62)
Letture di Fabio Brotto
Fabio Brotto su Desideri
Un romanzo articolato in modo sapiente è Desideri di Roberto Michilli (Fernandel, Ravenna 2005). Quattro diverse storie, con un debole punto di intersezione, dicono quattro desideri di quattro personaggi (cui si dovrebbero aggiungere desideri di figure secondarie). Si tratta di desideri fondamentali, in quanto fondano il senso della vita dei quattro, e il loro soddisfacimento appare loro necessario, nella forma di un aut-aut: o l’oggetto o la morte. Gli oggetti sono differenti, ma esercitano su ciascuno dei desideranti un fascino irresistibile. Un uomo vuole assolutamente riavere la donna amata che gli è stata sottratta: per lei è disposto ad uccidere, e uccide; un altro vuole assolutamente possedere carnalmente una parte bellissima di sua cognata, e per averla è disposto a ricorrere alle arti di una vecchia maga ripugnante, e finisce per accettare la propria morte; un altro ancora vuole assolutamente una casa in campagna, anche se è una casa maledetta, e per essa è disposto ad uccidere, e uccide; una donna vuole assolutamente un uomo che è innamorato di un’altra, e finisce per portare suo marito ad ucciderlo perché lei non soffra più. Tutti i desideri qui portano alla morte, evidenziando una radice metafisica di cui forse lo stesso scrittore non ha piena coscienza. E si tratta di morte per violenza, della quale a loro volta i personaggi non avvertono alcun senso di colpa. Sembra dunque che il desiderio scatenato, sciolto da ogni condizionamento, ab-solutus, annulli ogni residua coscienza del bene e del male. In questo, il romanzo di Michilli è totalmente postmoderno, anche se il suo linguaggio appare abbastanza tradizionale e medio (nel senso di un’aurea, elaborata mediocritas): i suoi personaggi vivono in un quadro di pensiero debole socialmente incarnato, rivelando come la violenza covi sotto ogni relazione umana anche quando non viene tematizzata ed esorcizzata dalle forme sociali della metafisica e della religione.
22 settembre 2005
Fabio Brotto su FATE IL VOSTRO GIOCO
DUE LIBRI, UNA PAGINA (106)
Quel che mi piace in Roberto Michilli, e avevo già apprezzato in Desideri (vedi), è la maturità disincantata del suo sguardo sul mondo, e il controllo della scrittura che rivela una profonda assimilazione della lettura dei classici. Qualcosa di simile a quello che trovo nel grande e misconosciuto Alessandro Spina.
Il breve ma intenso romanzo Fate il vostro gioco, che nel titolo evoca subito la figura del croupier e il casinó con tutto ciò che portano con sé nella letteratura occidentale degli ultimi due secoli, è anzitutto un’esercitazione di scrittura come una variazione musicale sul tema, in secondo luogo un libro di agevole lettura che ti prende nella voglia di sapere come andrà a finire la vicenda, ma infine è anche una espansione della tematica del desiderio già sviluppata appunto in Desideri.
La struttura è semplice. Durante un viaggio in treno un uomo narra ad un altro viaggiatore, che non parla mai, la sua vita, dominata prima da una passione distruttiva per il gioco d’azzardo, e poi, dopo una apparente conversione che porta l’uomo ad esercitare la professione di “avversario del giocatore” ovvero di croupier, dominata da un altro desiderio assoluto, quello di trovare un sistema scientifico per vincere alla roulette. Un sistema scientifico per individuare i numeri che usciranno, non un marchingegno truffaldino. Per raggiungere questo obiettivo, egli impiega tutte le sue risorse monetarie, fisiche e mentali, servendosi dell’informatica nascente, e dei primi PC (siamo intorno al 1980). La bravura di Michilli sta nel trasformare le elucubrazioni matematico-statistiche e i problemi di programmazione del computer in una vicenda appassionante. Ma quello che a me interessa, è come, sempre, il risvolto antropologico. Il desiderio illimitato si rivela in realtà senza oggetto. Il protagonista che in gioventù ha sperperato nel gioco un ingente patrimonio, non muta radicalmente l’oggetto del suo desiderare, che rimane fondamentalmente vuoto. Il guadagno di milioni che gli potrebbe consentire la sua scoperta non è finalizzato a nulla di reale, e la soddisfazione di battere il meccanismo del casinò, il Sistema, è in sé cosa misera e vuota. In questo senso, anche il protagonista di Fate il vostro gioco si rivela essere un uomo vuoto, ed è in ciò eminentemente novecentesco, mentre l’associazione dell’informatica al mondo del gioco d’azzardo si pone come una metafora del nostro destino.
30 luglio 2008
Fabio Brotto su La chiarezza enigmatica
LUGLIO 13, 2009 ~ FABIO BROTTO
Conversazione su Giuseppe Pontiggia è il sottotitolo de La chiarezza enigmatica, un bel libretto di Roberto Michilli e Simone Gambacorta (Galaad Edizioni, 2009). Attraverso una serie di domande e risposte (le prime di Gambacorta), vi viene delineato un bel ritratto del grande scrittore scomparso nel 2003, un ritratto umano e letterario, nel quale umanità e scrittura si manifestano intrecciate, come inevitabilmente deve accadere in un autore moralista come Pontiggia. E io qui uso il termine nella sua vera accezione, non in quella italiota.
Gambacorta è un intervistatore abile e non invadente, che consente a Michilli di svelare il suo debito umano e artistico nei confronti di Pontiggia, finendo per illuminare due scrittori, il maestro e l’allievo. Nel corso della conversazione emergono alcune delle questioni fondamentali della letteratura contemporanea, da quella dello stile a quella del rapporto tra scrittore e mondo letterario-editoriale. A me interessa particolarmente quella del rapporto tra scrittura e verità.
Come Pontiggia ribadisce nel saggio su Daumal, l’uso di un linguaggio corrente per esprimere verità lontane rispetto ai luoghi comuni è il compito principale della narrativa contemporanea. (p. 35)
Michilli ricorda che Pontiggia gli disse che scrivere è anche “fare appello alle proprie risorse etiche”. E alla domanda di chiarimento da parte di Gambacorta risponde:
Nel senso che la voce di uno scrittore, cioè quello che lui scrive sulla pagina, deve essere filtrata e convalidata da quei criteri di verità che hanno dimora nella sua esperienza di uomo. Quindi bisogna essere responsabili del linguaggio che si adopera, riconoscersi in quel linguaggio. Scrivere in modo responsabile significa sforzarsi di non essere acquiescenti e passivi ed evitare che, per imitazione o per suggestione dei modelli, si finisca per usare parole che non corrispondono a quello che noi vogliamo dire, alla nostra esperienza, al nostro mondo. È necessaria pertanto un’attenzione scrupolosa a quello che si fa, e una continua riflessione su quello che s’è scritto. Si scrive per scoprire un linguaggio nel quale riconoscersi; si scopre di avere un mondo da esprimere, e lo si scopre attraverso la costruzione del proprio linguaggio. (p. 36)
Infine questo libro, come per lo più accade in questi casi, è insieme un libro sul maestro Pontiggia e sull’allievo Michilli. Entrambi vedono l’atto dello scrivere narrativa come un atto essenzialmente e prima di tutto etico-conoscitivo. Da ciò la responsabilità dello scrittore. Se guardo il panorama della letteratura italiana contemporanea, in cui predominano una stilistica approssimativa e contenuti narrativi vieti e ritriti, mi vien da pensare che quella delineata in questo libretto sia una posizione di stretta minoranza.