Da The italian painters of the Renaissance, traduzione di Emilio Cecchi:
L’arte ha una sostanza troppo grande e vitale, da poter tutta raccogliersi in una sola formula; e finora manca una formula la quale non deformi la nostra idea complessiva della pittura italiana nel quindicesimo secolo, e al tempo stesso renda giustizia ad un artista come Carlo Crivelli. Che si colloca tra i più genuini d’ogni epoca e paese; e non ci si stanca mai, anche quando i cosiddetti «grandi maestri» diventan tediosi. Con la libertà e lo spirito del disegno giapponese, egli esprime una divozione tenera e selvaggia come quella di Jacopone; una dolcezza d’emozione sincera ed ornata, come quella che un francese del quattordicesimo secolo avrebbe potuto mettere in un avorio della Vergine e il Figlio. La mistica beltà di Simone Martini, la pietà disperata del Giambellino giovane, nel Crivelli trovano forme che hanno il vigore lineare e la metallica lucentezza di vecchi Satsuma o delle lacche: e qualità tattili così sontuose.

Il Trittico di Montefiore dell’Aso