Carla Bariffi su Desideri

Pubblicato il 19 gennaio 2012 su La soldanella, il blog di Carla Bariffi:

Dunque, mi appresto a scrivere le mie prime impressioni su questo libro che non ho ancora terminato, perché ogni volta che incontro un libro interessante mi succede questo fatto, mi rifiuto di finirlo presto.
Sono giunta a questo autore sconosciuto per me tramite la recensione di Fabio Brotto.
Mi ha subito interessata la copertina, così sfiziosa ed elegante, i sandali di Cristina (che poi nel libro non compare).
La trama è tutt’altro che sfiziosa, oserei dire: azzardata nel suo intento: debellare il desiderio.
Sono quattro racconti.
Quattro quartetti perché *Michilli il maestro* intende dare una sequenza musicale ai capitoli, e lo fa con raffinatezza.
Costringe il lettore a ricordare e a costruire.
Sì, perché Michilli è un architetto, oltre a trascinarti nel suo narrare così fluido ed avvincente (mi ha lasciato col fiato sospeso più di una volta) deve avere un’anima *architettonica* speciale per saper descrivere così bene certi ambienti, soprattutto nel capitolo di *Elio*.

Devo ammettere che da molto tempo non incontravo un libro degno di travolgermi nella lettura in così breve tempo, devo ammettere che Roberto Michilli possiede il dono del coinvolgimento!
Il suo adagio nel capitolo di Elio è il mio preferito, in assoluto, per le descrizioni, anche poetiche dei paesaggi e degli stati d’animo, tra i quali la paura è la vera protagonista, col suo sapore metallico e freddo.
Intrecci, con una trama precisa, con un finale a sorpresa. Tutto meticolosamente architettato.
Una mente geniale quella di Roberto… sotto diversi punti di vista.
Riesce a entrare nella psicologia femminile, riesce a creare situazioni tragiche ma al contempo giocose, riesce a trasmettere il sentimento dell’odio e dell’amore con la stessa intensità.
Il capitolo di Deborah è quello forse più angoscioso, poiché rende la fuga l’unica possibilità di salvezza ma anche la consapevolezza che non esiste fuga dai propri desideri se questi non vengono prima realizzati.
A volte è una tortura, devo ammetterlo, aspettare di giungere al capitolo che più mi coinvolge.
Ogni capitolo potrebbe essere una storia a sé, inutile dirlo…
Ma il fascino del suo narrare è proprio in questo intreccio che alla fine si ricongiunge a lasciare il suo marchio indelebile nell’animo rapito dell’ignaro lettore.

La cosa più bella per me, leggendo questo libro e in particolare il capitolo di Elio, è il potermi raffigurare immagini e affreschi della proprietà, delle cantine, dei boschi… insomma… la struttura portante è data dall’ immagine che ne scaturisce, nitida e sovrana.

* * *

Elio

Era la casa dei suoi sogni, più bella, anzi, della casa che aveva sempre sognato. Con un lungo sguardo da innamorato, appena sceso dall’auto accarezzò la bella facciata bianca, le finestre col davanzale in pietra serena e le persiane verdi, i vecchi coppi macchiati di muschio del tetto, i nidi delle rondini lungo le grondaie. Non solo c’era un piccolo loggiato in cima all’ampia scalinata esterna, ma su un lato la casa sfoggiava addirittura una bella altana ottagonale, sormontata da una banderuola segnavento a forma di gallo. «È bellissima!», disse allargando le braccia. Era come se volesse abbracciare tutto quello che vedeva. Si voltò a guardare Zarbà. Sorridente, l’omino se ne stava con un piede appoggiato al parafango dell’auto e sembrava godersi il suo entusiasmo: «E non ha ancora visto niente» disse. «Venga a vedere il resto».
Mentre il geometra armeggiava con la serratura del portone, Elio continuava a guardarsi intorno. Notò sulla chiave di volta dell’architrave uno stemma gentilizio con sotto incisa una data: 1608. Entrarono. C’era una bussola a vetri subito dopo il portone. La attraversarono e si ritrovarono in un lungo atrio sul quale si aprivano diverse porte. In fondo, sulla destra, saliva verso l’alto una scalinata in legno scuro.
«Cominciamo di qua» disse Zarbà aprendo l’unica porta sulla destra.
Entrarono in un’ampia cucina rustica dal pavimento in cotto. Man mano che la sua guida apriva le finestre, a Elio si precisavano i dettagli dell’ambiente.

* * *

La cosa originale che ho notato nella struttura del libro è che si parte con una storia, poi ne subentra un’altra, poi ne subentra un’altra ancora, poi…
si torna alla prima, poi la seconda, poi la terza,
poi
una quarta, ancora la quarta,
prima, seconda, terza
prima seconda terza
quarta
quarta
prima seconda terza
prima seconda terza
quarta
quarta!

un vero e proprio madrigale!

Deborah (4)

* * *

Come il giorno prima, lei era distesa nuda sul letto, nella penombra. Mi fermai per qualche istante a rimirarla, poi mi tolsi i pantaloncini e la camicia e mi distesi accanto a lei. Deborah aveva gli occhi chiusi. Se voleva continuare in quel gioco, a me andava benissimo. Quella sua passività consenziente mi eccitava da morire. Mi dava le spalle. L’accarezzai a lungo con la punta delle dita. La sua pelle a tratti fremeva, ma lei continuava a starsene ferma e in silenzio. Tornai a toccarle lo scrigno dei tesori; cercai ancora l’ingresso alla grotta azzurra e lo valicai, non senza aver favorito l’attraversamento della soglia con succo di lingua spalmato con le dita. Il mio coso, laggiù, s’ergeva e pulsava. Unsi anche lui con la mirra autoprodotta e accostandomi alla bella addormentata lo accompagnai con la mano sull’uscio. Dovetti aggiustare più volte il tiro e ci volle calma e volontà ferma e notevole forza d’animo per resistere alle tentazioni, ma alfine la punta estrema di me, solo la punta, purtroppo, fu dove sognava da anni. Oh cielo! Ancora adesso non posso fare a meno di rabbrividire ripensandoci. La magia della prima volta! Il tempo dovrebbe fermarsi, dopo. Anzi: mentre. La mia gioia di carne ebbe appena un leggero sussulto quando si sentì così congiunta a me, ma ritrovò subito la sua dolce passività. Restai così per lunghi istanti, poi provai a spingermi oltre. Riuscii a percorrere solo pochi millimetri, però. L’attrito l’ebbe vinta sulla mia volontà e l’irrorai della mia gioia, inarcandomi all’indietro, teso come corda di violino.

* * *

Molto interessante è anche il *rovescio della medaglia* però non vorrei dilungarmi troppo….
L’episodio della vecchia invece, che è quello che più mi ha scosso, evito di trascriverlo. La sua lettura necessità di stomaco forte!

* * *

Elio (5)

Si svegliò di soprassalto. Sognava di cadere. Precipitava in un pozzo nero e senza fine, urlando dal terrore. Accese l’abat-jour, si mise seduto appoggiandosi alla spalliera del letto e guardò la sveglia posata sul comodino. Segnava le due e quaranta. Tossì. Aveva la gola secca. Scese dal letto, s’infilò la vestaglia e cominciò a scendere le scale. Era diretto in cucina, voleva attaccarsi alla bottiglia d’acqua minerale che era in frigo. Sentì il rumore quando ancora si trovava a metà della prima rampa. Un tonfo attutito. Sembrava provenire dal sottosuolo. Si fermò e restò in ascolto, ma il rumore non si ripeté. “Sarà caduto qualcosa dagli scaffali”, pensò. “O forse è un topo”, si disse poi. Gli venne in mente che non era ancora sceso nelle cantine. C’era stato solo una volta con l’architetto, ma s’erano limitati a un’occhiata superficiale. Si ripromise di scenderci l’indomani, e magari di procurarsi qualche esca avvelenata per i topi. In cucina prese la Ferrarelle dal frigorifero e mettendo in atto il proposito di poco prima bevve una lunga sorsata a garganella. Portandosi dietro la bottiglia, si lasciò poi cadere su una sedia e ne bevve ancora. Sentì di nuovo il rumore mentre era con la bottiglia attaccata alle labbra. L’acqua gli andò di traverso e tossì, con violenza e a lungo. Stavolta il rumore era stato più forte ed ecco: si ripeteva ancora, i tonfi adesso si succedevano ed erano via via più violenti. Poi, di colpo, tornò il silenzio. Elio avvertì un brivido corrergli lungo la schiena. Il fucile era appeso a un piolo di legno, dietro la porta della cucina, insieme alla cartucciera. Lo prese, lo caricò e accendendo le luci man mano che entrava nelle stanze, si diresse verso il piccolo disimpegno dove si apriva la porta delle cantine.

 

Fabio Brotto su Desideri

Pubblicato il 22 settembre 2005 su www.brotture.net

Desideri

Un romanzo articolato in modo sapiente è Desideri di Roberto Michilli (Fernandel 2005). Quattro diverse storie, con un debole punto di intersezione, dicono quattro desideri di quattro personaggi (cui si dovrebbero aggiungere desideri di figure secondarie). Si tratta di desideri fondamentali, in quanto fondano il senso della vita dei quattro, e il loro soddisfacimento appare loro necessario, nella forma di un aut-aut: o l’oggetto o la morte. Gli oggetti sono differenti, ma esercitano su ciascuno dei desideranti un fascino irresistibile. Un uomo vuole assolutamente riavere la donna amata che gli è stata sottratta: per lei è disposto ad uccidere, e uccide; un altro vuole assolutamente possedere carnalmente una parte bellissima di sua cognata, e per averla è disposto a ricorrere alle arti di una vecchia maga ripugnante, e finisce per accettare la propria morte; un altro ancora vuole assolutamente una casa in campagna, anche se è una casa maledetta, e per essa è disposto ad uccidere, e uccide; una donna vuole assolutamente un uomo che è innamorato di un’altra, e finisce per portare suo marito ad ucciderlo perché lei non soffra più. Tutti i desideri qui portano alla morte, evidenziando una radice metafisica di cui forse lo stesso scrittore non ha piena coscienza. E si tratta di morte per violenza, della quale a loro volta i personaggi non avvertono alcun senso di colpa. Sembra dunque che il desiderio scatenato, sciolto da ogni condizionamento, ab-solutus, annulli ogni residua coscienza del bene e del male. In questo, il romanzo di Michilli è totalmente postmoderno, anche se il suo linguaggio appare abbastanza tradizionale e medio (nel senso di un’aurea, elaborata mediocritas): i suoi personaggi vivono in un quadro di pensiero debole socialmente incarnato, rivelando come la violenza covi sotto ogni relazione umana anche quando non viene tematizzata ed esorcizzata dalle forme sociali della metafisica e della religione.