Pubblicato il 1 luglio 2012 da Tiziano Scarpa sul sito della rivista

Oggetti preziosi: due ruote
di Roberto Michilli
Sulla Vespa azzurra dello zio Umberto salivo per andare al mare. Dietro, seduta all’amazzone e col foulard in testa, c’era la zia. Io viaggiavo in piedi, tra le gambe del guidatore, reggendomi al manubrio. Il vento mi colpiva in viso e mi costringeva a tenere gli occhi chiusi per quasi tutto il tempo. Mi accorgevo che ci stavamo avvicinando alla meta perché sentivo nell’aria il profumo degli oleandri, mentre passavamo lungo i rettifili di Nereto, e poi quello del salmastro, quando stavamo ormai per arrivare a Tortoreto Stazione. Su una Lambretta primo tipo di colore grigio-verde, zio Raffaello e zia Amelia tornavano da Roma, ogni estate. Riuscivano a trasportarci anche i bagagli e regali per tutti i parenti. Su una Lambretta del tipo nuovo, con la carrozzeria grigio e crema, mi portava con sé il mio amico, Don Nicola, il farmacista. Andavamo al mare a Villa Rosa, alla Fortezza di Civitella oppure all’Acquasanta, a fare il bagno nella piscina d’acqua sulfurea. Quando Renato con gli occhialoni e la cuffia di cuoio passava per il Corso sulla sua rombante Moto Guzzi rossa, che aveva anche il sidecar, tutto il paese si girava a guardarlo. Con un Gilera 175 SS dal faro carenato, Silvio, l’autista degli autobus, faceva le corse. Era grassottello e basso di statura. Non arrivava a terra coi piedi, così per salire e scendere era costretto a cercare un gradino; ma quando correva, col casco rosso e la tuta di pelle nera, e nelle curve si piegava fin quasi a toccare l’asfalto con le ginocchia, si trasformava in un antico eroe, e i nostri cuori battevano tutti per lui. Per vederlo passare, ci arrampicavamo sul tetto dei gabinetti pubblici, là sul Ponte, accanto alla fontana dal grande getto d’acqua gelida. Dal serbatoio del Parilla 150 rosso e bianco di Gigino, il daziere, una volta aspirammo i vapori di benzina, e sballammo. Con il suo Giubileo 98, Luigi, il padre del mio povero amico Tonino, una volta mi riportò in paese dalla città. Fu una cavalcata esaltante, nell’aria dolce di una sera d’estate. Il mio amico Pino, quando tornò dalla Svizzera, portò con sé due valigie piene di sigarette e una strana bicicletta col motore. Si chiamava “Velopap”; il motore era piccolo, sistemato davanti al manubrio. Per accenderlo, bastava spingere una leva. Due rulli si attaccavano allora alla ruota e la salita si faceva lieve. La tozza Motom scarlatta dello zio Vincenzo aveva il nome che si poteva leggere dalle due parti e il cambio all’incontrario, con prima sotto, seconda e terza sopra. Lo zio faceva il muratore. Andavo a trovarlo nel cantiere dove lavorava, e lui mi prestava la moto. Mettevo un po’ di miscela al distributore del mio amico Mino, all’inizio della Via Nuova, poi passavo sotto il fresco verde degli ippocastani e me ne andavo su per le stradine bianche che s’arrampicavano sopra le colline. Dalla cima, mi fermavo a guardare il paese. Le case sembravano tutte così piccole, da lassù. Ero felice quando riconoscevo la mia.
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Roberto Michilli (Campli, 1949) vive a Teramo. Ha pubblicato alcune raccolte di poesie, i romanzi Desideri (Fernandel 2005), Fate il vostro gioco (Fernandel 2008), La più bella del reame (Galaad 2011) e La chiarezza enigmatica. Conversazione su Giuseppe Pontiggia (con Simone Gambacorta, Galaad 2009). Il suo blog è qui.