
Scritto dalla luce a Civitella

Un trittico di romanzi che insieme formano una piccola Commedia umana. (Fabio Brotto)
Ringrazio Leandro Di Donato, Valeria Di Felice, Beniamino Procaccini e la benemerita biblioteca Melchiorre Dèlfico, nelle persone di Nadia Di Luzio e Dimitri Bosi.
Ringrazio Federico Agostinelli, Melissa Galli, Roberto Ricci, Davide Francioni, Evelina Di Berardo, Leandro Di Donato, Valeria Di Felice e tutti gli intervenuti. Un grazie particolare agli amici che sono arrivati da Civitella e da Teramo per essermi vicino.
Una serata da ricordare, quella di ieri a Corropoli. Ringrazio Stefania Pompeo che l’ha organizzata, il Sindaco Dantino Vallese, il Dirigente scolastico Manuela Divisi e i suoi collaboratori, la professoressa Loredana Anzidei e i suoi meravigliosi ragazzi della Scuola secondaria di primo grado di Corropoli, che hanno letto con pronuncia impeccabile brani dalla Leggenda. Infine, ma non certo per ultimi, ringrazio l’amico fraterno Leandro Di Donato e la mia ardimentosa editrice Valeria Di Felice.
Questo libro vuole coinvolgere il lettore nel tentativo di risolvere un mistero: perché uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi si porta dentro una storia per quarant’anni e passa, prova due volte a scriverla ma poi lascia perdere e si decide infine a farlo davvero nel momento peggiore della sua vita? Perché in un momento così difficile per lui, sceglie di mettersi a scrivere proprio questo racconto?
Non solo: come può lo stesso scrittore, il più lontano da ogni forma di improvvisazione, abituato a documentarsi in modo persino esagerato sul soggetto che ha scelto, e poi a progettare l’opera fin nei più minuti dettagli e a lavorare nel suo amato studio circondato dai suoi libri, dai suoi appunti e dagli oggetti che gli sono cari, mettersi a scriverla in una stanza d’albergo in un paesino bretone affacciato sull’Atlantico, avendo con sé solo la penna, l’inchiostro e la carta?
E ancora: perché durante la stesura Gustave Flaubert si riferisce alla Leggenda parlandone come di una cosa da niente? «Non è niente di niente e non le attribuisco alcuna importanza»; «una sciocchezzuola medievale»; «una piccola stupidaggine, di cui la madre potrà permettere la lettura alla figlia»; «la mia piccola storiella (religioso-poetica e medievalmente rococò)»; «quest’opera edificante, che mi farà passare per “volgere al clericalismo”.» Non sarà che ne minimizza l’importanza per dissimulare il ruolo capitale rivestito invece per lui da questo racconto?
E infine: cosa c’è in questa storia del santo parricida che possa riguardare Flaubert? Deve trattarsi di qualcosa alla quale lui attribuisce una eccezionale importanza, e deve aver pensato che è arrivato il momento di raccontarla perché si sente vicino alla fine e vuole finalmente liberarsi di questo grave peso. Flaubert è tutti i suoi personaggi, ma forse in Julien c’è di lui più che in tutti gli altri, e magari la sua storia è per molti aspetti anche quella del suo autore. Forse nell’interesse precoce e duraturo di Flaubert per la storia di Giuliano, c’è il segno di una analogia profonda, però censurata, respinta nelle profondità dell’inconscio. E il racconto impersonale della vita del santo potrebbe offrire allora allo scrittore la maschera più sicura per esprimere le sue ossessioni più personali.
Ma è così? Il libro invita il lettore curioso e appassionato di misteri a
cercare da solo le risposte a queste e altre domande. Per aiutarlo, gli offre
le risposte offerte da una lunga serie di studiosi che si sono sentiti attratti
da questo racconto e gli hanno dedicato la loro attenzione. Confrontandosi con
queste, accettandole alcune e respingendone altre, il lettore compie un suo
personale percorso di ricerca che magari non lo porterà a risolvere il mistero,
ma certo gli farà scoprire molte cose, e non solo su Flaubert.