Su Dalla fiamma e dalla luce

IL PONDEROSO EPISTOLARIO DELLO SFORTUNATO POETA RUSSO (DI FELICE EDIZIONI)

Lermontov, il duello fatale e la vita attraverso le lettere

di ANGELO GACCIONE

«Il Quotidiano del Sud», domenica 19 settembre 2021.

Ho sempre respinto come falsa e fuorviante la distinzione fra piccoli e grandi editori. I grandi editori hanno più mezzi a disposizione e dunque possono esercitare una maggiore forza di pressione, un maggiore potere sui più diffusi mezzi di comunicazione – spesso ne sono anche i possessori – e questo è un sicuro vantaggio. Basti solo tenere d’occhio come vanno le cose nell’ambito dei premi letterari e del mercato delle recensioni.

            Hanno anche una enorme quantità di denaro e possono invadere il mercato con più titoli, operare una diffusione più capillare e permettersi luoghi più prestigiosi per le presentazioni dei titoli dei loro autori, pagarli meglio, comprare diritti, e così via.

            Tutto molto vero. Ma il confronto non deve essere fatto sui mezzi a disposizione, deve essere fatto sulla qualità dei “prodotti”, cioè i libri. Chi pubblica buoni libri per me è un buon editore, il resto non mi riguarda. Se uno scrive brutti versi resta un pessimo poeta, al di là della sigla editoriale che li confeziona. Questa recente Collana dal titolo molto significativo: “I contemporanei del futuro” diretta da Roberto Michilli della Di Felice Edizioni di Martinsicuro (Teramo), si annuncia molto promettente. È una Collana graficamente ben curata (come tutte le altre Collane, del resto) e i libri stampati con altrettanta cura dalla Tipografia calabrese Universal Book di Rende. Soprattutto cuciti in filo refe come è giusto che sia. L’esordio non poteva essere migliore: tra i titoli scelti, anche un ponderoso epistolario dello sfortunato poeta russo Michail Jur’evic Lermontov dal titolo Dalla fiamma e dalla luce. La vita attraverso le lettere di ben 586 pagine. Intendiamoci, Lermontov non ci ha lasciato un numero tanto alto di lettere da farne un volume così consistente. Le sue di lettere sono in tutto cinquantatré – quelle che si sono salvate e giunte fino a noi – cinque quelle da lui ricevute, e trenta in cui si fa riferimento alla sua persona in un interscambio di contemporanei. Quanto basta, tuttavia, per avere un quadro più o meno attendibile dell’artista e dell’uomo. Il resto delle pagine si compone di una breve prefazione di Michail Ryssov e poi, introduzione inclusa, è tutta fatica e sudore di Michilli che è sia traduttore delle lettere sia dei testi poetici che vi compaiono. Le lettere sono riprodotte anche nella versione in lingua russa per i fortunati che masticano questo idioma. Il lavoro certosino, appassionato e minuzioso di Michilli non sarà lodato abbastanza. Di ben 232 pagine si compone il suo commento ai testi (Notizie sui testi) e 22 di bibliografia: quasi un libro nel libro.

            Sono notizie preziosissime quelle che sulle varie lettere e documenti ci consegna Michilli perché ci illuminano sugli aspetti più diversi: persone, luoghi, contesto storico, legami, ambienti, e via enumerando, senza trascurare nulla di quanto è necessario alla nostra comprensione di contemporanei. Per i più curiosi, persino l’inventario dei beni appartenuti al giovanissimo Lermontov. La riproduzione minuziosa è censita in 101 voci (servi inclusi), che “sopravviveranno” al fatale duello che lo spegnerà, com’è noto, nel 1841 ad appena 27 anni. Il duello e la morte prematura ci fanno venire immediatamente in mente il destino tragico di un altro grande poeta russo: Aleksandr Sergeevic Puškin. Anch’egli era perito in duello, quattro anni prima, nel 1837, colpito in pieno petto da una pallottola del barone Georges d’Anthès, e non aveva ancora 38 anni. È incredibile quante analogie si riscontrano scavando nelle pieghe di queste due vite inquiete: entrambi nati a Mosca, entrambi educati dalle rispettive nonne materne, entrambi esiliati, entrambi falciati in duello…

            Nel giro di pochi anni la Russia letteraria della prima metà dell’Ottocento perdeva due dei suoi più straordinari, innovativi e promettenti artisti. Chissà che cosa avrebbero potuto dare al mondo della cultura se due stupide pallottole non ne avessero spento intelligenza ed immaginazione. Davvero le loro vite sono state brevi, brevi come un sospiro.

            C’è da chiedersi se il destino di Lermontov non avrebbe potuto essere diverso se non avesse intrapreso la carriera militare; e tuttavia considerato il suo carattere, la mistura di genialità ed infantilismo che lo pervadeva, il perverso senso dell’onore che impregnava la società russa del suo tempo, la facile pratica del duello, anche se avesse ottenuto il sospirato congedo, la possibilità di imbattersi in un qualsiasi Nikolaj Martýnov, era se non certa, altissima. E del resto la sua vita scorre sempre sul bordo di un pericoloso crinale come si può leggere nelle pagine di questo libro. Tutte le testimonianze che ci sono pervenute (anche lasciando da parte quelle malevole o apertamente ostili) ce lo confermano. Verso la nonna Elizavéta Alekséevna Arsén’eva il giovane nipote era affettuosissimo e le lettere che le invia traboccano di tenerezza: “Bacio le vostre mani e prego Dio che siate serena e in buona salute, e chiedo la vostra benedizione. Resto il vostro obbediente nipote Lermontov”. È la chiusa della lettera del 10 maggio 1841 scritta da Stavropol, la penultima, ma chiudono tutte con questo dolcissimo afflato, come quella del 28 giugno da Pjatigorsk, l’ultima in assoluto, perché il mese dopo ci sarà il duello fatale. In quest’ultima la chiusa inizia con la formula “Addio cara nonna”, e quell’addio suona davvero come un tragico accomiato. Per Elizavéta, che lo ha viziato in tutto, il nipote rappresenta la luce dei suoi occhi. Lo ha amato di un amore totale ed esclusivo e la notizia della morte le arriverà come un cataclisma. Ecco come ci informa una lettera del 18 settembre dello stesso anno scritta da Maríja Aleksándrovna Lopuchiná ad Aleksándra Michájlovna von Hügel sulla condizione della nonna del poeta: “Che sciagura questa morte; la povera nonna è la donna più infelice che conosca. (…) Dicono che le si sono paralizzate le gambe e che non possa muoversi”. Quanto al pessimo carattere di Lermontov: “So che siete capace di fare a coltellate col primo venuto alla prima stupidaggine. Puah! È una vergogna. Non sarete mai felice con quell’orribile carattere”. Chi scrive queste parole al poeta è la cugina Aleksándra Michájlovna Verešcágina (lettera n. 12, pagina 73), mentre a parlare di pallottole di morte è lui in una lettera alla Lopuchiná dell’ottobre del 1832, allorché decide di intraprendere la carriera militare. “(…) Io, che fino ad oggi avevo vissuto per la carriera letteraria, dopo aver tanto sacrificato per il mio ingrato idolo, ecco che mi faccio guerriero… (…) Morire con una palla di piombo nel cuore, val bene una lenta agonia di vecchio”.

            Quello che per il talento Belinskij definisce “il terzo poeta russo” e lo incorona come l’erede di Puškin, è agli occhi di tanti altri un insolente abituale; uno che “ha una grande mente eppure fa cose folli”.

            La lunga lettera del 27 agosto del 1858 che Evdokíja Petróvna Rostopciná invia allo scrittore francese Alexandre Dumas padre e che Michilli opportunamente riporta in appendice (pagg. 291 -301), ci dà molti altri elementi sul carattere e sul genio del poeta. Di colui che ancora tanto giovane, aveva osato scrivere versi come questi: “(…) e la vita, appena ti guarderai attorno con fredda attenzione / è un così vuoto e stupido scherzo”. Detestabile per il carattere, non dobbiamo però dimenticare che nel corso dei duelli mai Lermontov aveva usato puntare la pistola contro il suo avversario; aveva sempre sparato di lato o non sparato affatto. E sì che aveva una mira micidiale e in quanto militare sapeva come mirare al cuore. E allora dobbiamo inchinarci alla sua nobiltà e al suo grande immenso cuore.

Ringrazio Angelo Giaccone

In ricordo di Pia Pera: Lermontov

Michaíl Júr’evič Lérmontov (1814-1841)
Prefazione a Un eroe del nostro tempo (Геро́й на́шего вре́мени). Traduzione di Pia Pera.

In ogni libro la prefazione è la prima e anche l’ultima cosa; serve o da spiegazione del fine dell’opera, o da giustificazione e risposta alle critiche. Eppure, di solito, ai lettori poco importa del fine morale o degli attacchi dei recensori, ragion per cui non leggono le prefazioni. È un peccato che sia così, soprattutto da noi. Il nostro pubblico è ancora così giovane e ingenuo da non capire una favola a meno di trovarci alla fine una lezioncina. Non coglie lo scherzo, non avverte l’ironia; molto semplicemente, è male educato. Continua a ignorare che nella buona società e in un buon libro non c’è spazio per l’insulto diretto; che la civiltà contemporanea ha escogitato un’arma assai più affilata, quasi invisibile, eppure letale, che, sotto la veste dell’adulazione, sa infliggere colpi precisi e ineludibili. Il nostro pubblico è come un provinciale che, orecchiata la conversazione di due diplomatici legati a corti nemiche, ne tragga la convinzione che ciascuno inganni il proprio governo a vantaggio della più tenera amicizia reciproca.
Recentemente questo libro ha subito la deplorevole credulità di certi lettori e perfino delle riviste nel significato letterale delle parole. Alcuni si sono terribilmente offesi, e molto sul serio, che venisse loro portato a esempio un uomo così immorale come l’Eroe del nostro tempo; molto finemente altri hanno osservato che l’autore avrebbe ritratto se stesso e i suoi conoscenti… Che trovata vecchia e penosa! Ma si vede che la nostra Russia è fatta così, si rinnova in tutto fuorché in queste assurdità. Da noi il più fantastico dei racconti fantastici si sottrarrà a stento al rimprovero di attentato alla dignità della persona!
Un eroe del nostro tempo, miei cari signori, è proprio un ritratto, ma non di un singolo uomo: è un ritratto composto con i vizi di tutta la nostra generazione nel loro pieno sviluppo. Mi ripeterete che un uomo non può essere così malvagio, e io vi dirò: avete ritenuto possibile l’esistenza di tutti gli scellerati tragici e romantici; perché non credete dunque nella realtà di Pečorin? Avete ammirato finzioni molto più orripilanti e mostruose, e allora perché questo personaggio, perfino come finzione, non incontra la vostra indulgenza? Non sarà perché contiene più verità di quanto non vorreste?
Direte che la morale non ha nulla da guadagnarci? Scusate. Gli uomini sono stati nutriti anche troppo con i dolciumi; così si sono rovinati lo stomaco: urgono medicine amare, verità brucianti. Ciò detto, non crediate tuttavia che l’autore di questo libro abbia mai nutrito il sogno superbo di correggere i vizi degli uomini. Dio lo salvi da una simile dabbenaggine! Semplicemente si è divertito a disegnare l’uomo contemporaneo così come lo capisce e così come, per sventura vostra e sua, lo ha incontrato fin troppo spesso. Basti questo, avere indicato il male, quanto al curarlo… solo Dio lo sa!

Во всякой книге предисловие есть первая и вместе с тем последняя  вещь; оно или служит объяснением цели сочинения,  или  правданием  и  ответом  на критики. Но обыкновенно  читателям  дела  нет  до  нравственной  цели  и  до журнальных нападок, и потому они не читают предисловий. А жаль, что это так, особенно у нас. Наша публика так еще молода и простодушна, что  не  понимает басни, если в конце ее на находит нравоучения. Она не  угадывает  шутки,  не чувствует иронии; она просто дурно  воспитана.  Она  еще  не  знает,  что  в порядочном обществе и в порядочной книге явная брань не может  иметь  места; что современная образованность изобрела орудие более острое, почти невидимое и тем не менее смертельное, которое, под одеждою лести, наносит  неотразимый и верный удар.  Наша  публика  похожа  на  провинциала,  который,  подслушав разговор двух дипломатов, принадлежащих  к  враждебным  дворам,  остался  бы уверен, что каждый из них обманывает свое равительство  в  пользу  взаимной нежнейшей дружбы.
Эта  книга  испытала  на  себе  еще  недавно  несчастную доверчивость некоторых читателей и даже журналов к буквальному значению слов. Иные ужасно обиделись, и не  шутя,  что  им  ставят  в  пример  такого  безнравственного человека, как Герой Нашего Времени; другие  же  очень  тонко  замечали,  что сочинитель нарисовал свой портрет и  портреты  своих  знакомых…  Старая  и жалкая шутка! Но, видно, Русь так уж сотворена, что все в  ней  обновляется, кроме подобных нелепостей. Самая волшебная из волшебных сказок у нас едва ли избегнет упрека в покушении на оскорбление личности!
Герой Нашего Времени, милостивые государи мои, точно,  портрет,  но  не одного  человека:  это  портрет,  составленный  из  пороков   всего  нашего поколения, в полном их развитии. Вы мне опять скажете, что человек не  может быть так дурен, а я вам скажу, что ежели вы верили возможности существования всех трагических  и  романтических  злодеев,  отчего  же  вы  не  веруете  в действительность  Печорина?  Если  вы  любовались  вымыслами  гораздо  более ужасными и уродливыми, отчего же этот характер, даже как вымысел, не находит у вас пощады? Уж не оттого ли, что в нем больше правды, нежели  бы  вы  того желали?..
Вы скажете,  что  нравственность  от  этого  не  выигрывает?  Извините. Довольно людей кормили сластями; у них от этого  испортился  желудок:  нужны горькие лекарства, едкие истины. Но не думайте, однако,  после  этого,  чтоб автор этой книги  имел  когда-нибудь  гордую  мечту  сделаться  исправителем людских пороков. Боже его избави  от  такого  невежества!  Ему  просто  было весело рисовать современного человека, каким он его  понимает,  и  к  его  и вашему несчастью, слишком часто встречал. Будет и того, что болезнь указана, а как ее излечить – это уж бог знает!

Il prigioniero sul Primo amore

 

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“Mi sono arrampicato fin sulla cima delle montagne coperte di neve, e non è stato facile. Mezza Georgia è visibile da lassù, come se fosse su un piatto d’argento… Non hai bisogno di niente in quegli istanti, potresti metterti seduto a guardare per tutta la vita.” La prima biografia italiana del grande autore russo, ricca di inediti, scritta da Roberto Michilli e pubblicata da Galaad.

pubblicato da t.scarpa
in dal vivo il 11 novembre 2015

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Il prigioniero

Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841). Traduzione di Roberto Michilli.

Il prigioniero

Apritemi la prigione,
datemi lo splendore del giorno,
una vergine dagli occhi neri,
un destriero dalla criniera nera!
Io la giovane bellezza
prima dolcemente bacerò,
sul cavallo poi salterò,
nella steppa, come il vento, volerò.

Ma è alta la finestra della cella,
pesante la porta con la serratura;
Occhineri è lontana,
nel suo sfarzoso terem,
il buon cavallo è in un verde campo
senza briglie, solo, in libertà
galoppa allegro e vivace,
la coda spiegata al vento.

Sono solo — non ho alcun conforto:
nude pareti intorno,
debole il raggio del lume brilla
di un fuoco morente;
si sente soltanto: oltre le porte,
con passi risonanti e misurati,
cammina nel silenzio della notte
la sentinella rassegnata.

1837

 

Узник

Отворите мне темницу,
Дайте мне сиянье дня,
Черноглазую девицу,
Черногривого коня!
Я красавицу младую
Прежде сладко поцелую,
На коня потом вскочу,
В степь, как ветер, улечу.

*

Но окно тюрьмы высоко,
Дверь тяжелая с замком;
Черноокая далеко,
В пышном тереме своем,
Добрый конь в зеленом поле
Без узды, один, по воле
Скачет весел и игрив,
Хвост по ветру распустив.

*

Одинок я — нет отрады:
Стены голые кругом,
Тускло светит луч лампады
Умирающим огнем;
Только слышно: за дверями,
Звучномерными шагами,
Ходит в тишине ночной
Безответный часовой.

1837


copIlprigioniero bordo

 

4a di copertina bordo