Fabio Brotto su Quaranta poesie

Per gli amanti della poesia: uno splendido libro.

 

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Ultra-romanticismo russo: questa è l’impressione che mi ha seguito durante tutta la mia lettura di questo libro. Un libro che anzitutto colpisce per la sua sobria bellezza fisica: carta e stampa di una qualità oggi rara, che fanno perfettamente capire come il mondo della carta e quello degli schermi e schermini siano mondi separati. Non conflittuali, ma separati. Con questo libro già prima della lettura godono il tatto e la vista.

Le quaranta poesie che indica il titolo (Galaad Edizioni 2014), sono scelte da Roberto Michilli assieme ad alcuni frammenti. A fronte c’è il testo russo. L’apparato critico è davvero eccellente, e guida anche il lettore che nulla sa di Lermontov alla comprensione della sua arte e alla conoscenza della sua vita, con note puntuali e meticolose, e anche mediante il confronto con altre versioni italiane degli stessi testi (come quelle di Tommaso Landolfi). Naturalmente, questo apre il discorso sulla traducibilità della poesia, soprattutto poi di quella in cui la sapienza metrica – è il caso di Lermontov – gioca un ruolo decisivo. Ma è questo un abisso da cui mi tengo sempre lontano. Pensiamo alla questione posta qui anche da un testo come Nel nord selvaggio solitario sta, che è un rifacimento lermontoviano della celebre Ein Fichtenbaum steht einsam di Heinrich Heine.

Nel nord selvaggio solitario sta
su nuda cima un pino
e dorme oscillando, e una neve fresca
lo riveste come un manto.

E sogna che in un deserto lontano
– nella terra dove si leva il sole,
sola e triste sopra una roccia ardente
cresce una bellissima palma.

Quella di Michail Lermontov è una figura impressionante per molteplici aspetti. Ma, in quanto muore in duello a soli 26 anni, nella condizione di espulso dal centro sociale-culturale della Russia, dopo aver scritto alcuni capolavori che lo pongono ai vertici della letteratura russa e mondiale, incarna una singolare fusione tra genio e vittima sacrificale. Una fusione che non è affatto misteriosa, purché si comprenda il meccanismo che sta – immutabile – sotto le sue innumerevoli declinazioni.

http://brotture.net/2014/07/16/quaranta-poesie/

 

È in stampa

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La quarta di copertina:

In Italia la fortuna di Lermontov è legata quasi esclusivamente a Un eroe del nostro tempo, edito nel 1840 e destinato a inaugurare la stagione dei grandi romanzi russi, mentre la produzione poetica continua a essere una terra pressoché inesplorata. L’unico a confrontarsi sistematicamente con i versi di questo astro fugace delle Lettere russe è stato Tommaso Landolfi, che ha tradotto con esiti mirabili quasi tutti i poemi e un’ampia scelta delle liriche, privilegiando decisamente quelle più precoci, anteriori al 1837. È proprio a partire da questa data, con l’elegia La morte del poeta, che Lermontov raccoglie consapevolmente il testimone di Puškin, mentre la sua esistenza si lancia in una corsa tumultuosa che troverà troppo presto la sua tragica conclusione a Pjatigorsk, nel Caucaso. La presente antologia sceglie di attingere a piene mani dalle prove poetiche della maturità, prevalentemente inedite in Italia, per offrire al lettore, nel bicentenario della nascita di Lermontov, la possibilità di un incontro con alcune tra le pagine più intense della grande lirica romantica.

Sera d’autunno

Fëdor Ivanovič Tjutčev (1803-1873). Traduzione di Tommaso Landolfi.

Nella chiarezza v’è delle autunnali
sere un tenero, un misterioso incanto:
lo splendore degli alberi sinistro,
il languido frusciare delle foglie
porporine, il velato e calmo cielo
sopra la terra triste e desolata,
e, annunzio delle prossime bufere,
un brusco freddo vento qualche volta,
un mancare e sfinirsi – e quel sorriso
mite di sfioritura, su ogni cosa,
che in essere senziente noi chiamiamo
sacro pudore della sofferenza.

(1830)

 

[Quando tra le mie braccia…]

Aleksándr Sergéevič Púškin (1799-1837). Traduzione di Tommaso Landolfi.

Quando tra le mie braccia
Io chiudo la tua snella vita,
Ed i teneri accenti dell’amore
Ti prodigo nell’estasi,
Tacita, dalle mie mani serrate
La flessibile vita liberando,
Tu mi rispondi, cara amica,
Con un sorriso diffidente;
Tu, scrupolosamente rammentando
Di biechi tradimenti le leggende,
Disattenta, impartecipe,
Mi ascolti tristemente…
Maledico le perfide intraprese
Della mia giovinezza rea
E dei fissati convegni le attese
Nei giardini, nelle silenti notti.
L’amoroso sussurro maledico,
Dei versi il misterioso canto,
Le carezze delle fidenti vergini,
Ed il tardo rimbrotto e il loro pianto.

(1830)

Non credere a te stesso

Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841). Traduzione di Tommaso Landolfi.

Que nous font après tout les vulgaires abois
De tous ces charlatans qui donnent de la voix,
Les marchands de pathos et les faiseurs d’emphase
Et tous les baladins qui dansent sur la phrase?
A. BARBIER

Non credere a te stesso, giovane sognatore,
L’ispirazione temi come peste…
Essa è greve delirio dell’anima malata
O irritazione del pensiero in ceppi.
In essa non cercare segno celeste invano:
È ardor di sangue, è un soverchio di forze!
In faccende piuttosto lògorati la vita,
E versa la bevanda avvelenata!

Ti capiti in segreto, meraviglioso istante
Di scoprirti nell’anima, da tempo
Muta, una ancora ignota, una vergine fonte
Di semplici, di dolci suoni,– ad essi
Non porgere l’orecchio, tu, non abbandonarti,
Getta su loro il velo dell’oblio:
Col verso misurato, colla fredda parola,
Il loro senso non esprimerai.

S’insinui nei recessi del cuore la tristezza,
Giunga passione in turbine e tempesta, –
Al festino degli uomini chiassoso non venire
Tu colla tua furoreggiante amica.
Non umiliarti, ed abbi ritegno a far mercato
Or d’ira, ora d’angoscia compiacente,
E il marciume d’interne piaghe ad esporre altero
Per meraviglia dell’ingenua plebe.

A noi che cosa importa se tu soffri o non soffri?
Che giova a noi sapere i tuoi tumulti,
Le stupide speranze dei passati anni primi,
Le fiere doglie della tua ragione?
Ma guarda: a te davanti va felice e contenta
La turba pel cammino consueto;
Sui volti a festa quasi non è traccia d’affanni,
Lacrima sconveniente non vedrai.

Eppure in mezzo a loro non ve n’è forse un solo
Da un amaro tormento non oppresso,
Uno solo che sia giunto a precoci rughe
Senza perdita o sia senza delitto!…
Credi. a loro risibile è il tuo pianto, e l’accusa,
Colla sua arietta che si sa a memoria,
Al pari d’un attore tragico, imbellettato,
Che meni la sua spada di cartone…

Consigli ai governanti

Facile è governare il popolo, ove
Da comune passione esso sia tratto;
Sol non devi lasciarti trasportare,
Con esso farti grande o ad esso pari;
I tuoi pensieri non devi scoprire,
Né domandare ai sudditi consiglio,
Né mai scordare che un benigno motto
Meglio che un mucchio d’oro è con taluno.
Cerca d’essere il primo ovunque e sempre,
Non t’obliare, sii parco ai banchetti,
E non toccare le superstizioni,
Superstizioso sì fatti col volgo;
Temi dapprima la soverchia sorte
E d’avvezzare il popolo a vittoria,
Ché si confessi debole esso ed abbia
Sempre necessità di salvatore,
Ché te non paragoni con alcuno,
E stimi necessaria costrizione;
Sappi di tutto ardito profittare,
E non chiedere alcuna ricompensa!
Il popolo è fanciullo e non vuol dare;
Non tentare strappargli nulla: ruba!

Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841), Ismail-bej, II, 3. Traduzione di Tommaso Landolfi.

Fëdor Ivanovič Tjutčev – [Di desiderio ancor mi struggo…]

Fëdor Ivanovič Tjutčev (1803-1873). Traduzione di Tommaso Landolfi.

Di desiderio ancor mi struggo,
a te ancora coll’anima mi tendo,
e nella notte dei ricordi
ancora colgo il volto tuo…
Il caro volto inobliato
per tutto, sempre mi sta innanzi,
inarrivabile, immutato
come di notte in cielo stella.

(1848)

Michail Jur’evič Lermontov – [Non t’amo: di passioni e pene…]

Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841); traduzione di Tommaso Landolfi.

Non t’amo: di passioni e pene
È via volato il sogno primo,
Ma l’immagine tua dentro il mio cuore,
Benché impotente, è viva ancora;
Ad altri sogni abbandonato,
Io scordarla però non ho potuto:
Il tempio disertato è pure un tempio
E l’idolo abbattuto è pure un dio!

(1831)

Al popolo egli si mostrava…

Michail J. Lermontov (1814 – 1841)

Al popolo egli si mostrava,
Le sue vittorie enumerava,
Lo convinceva con parole scaltre!
La mano dell’accorto seduttore
Giocava colla turba sciocca,
Ed i nobili cuori nel frattempo
Si struggevano di segreta angoscia…

L’ultimo figlio della libertà (1831), traduzione di Tommaso Landolfi

Meditazione

Michail J. Lermontov (1814-1841); traduzione di Tommaso Landolfi.

Io con tristezza guardo la mia generazione!
Il suo futuro è vuoto oppure oscuro;
Sotto il fardello intanto di conoscenza e dubbio,
Si farà vecchia nell’inerzia.
Siam ricchi, appena usciamo dalla culla,
Degli errori dei padri, del loro tardo senno,
E la vita ci opprime già come strada eguale,
Senza meta, o banchetto a una festa d’altrui.
Ontosamente al bene e al male indifferenti,
Sul primo della giostra cediamo senza lotta,
Ignominiosamente vili innanzi al periglio
E davanti al potere abbietti schiavi.
Così il frutto anzi tempo maturato,
Senza allegrarci il gusto né gli occhi, in mezzo ai fiori
Pende straniero e solo, ed una è l’ora
Della loro bellezza e della sua caduta.

Con infeconda scienza ci inaridimmo il cuore,
Nascondendo gelosi ai prossimi e agli amici
Le migliori speranze e la nobile voce
Delle passioni, cui l’incredulo deride.
Sfiorato appena abbiamo la coppa del piacere,
Ma le giovani forze non per ciò conservato;
La sazietà temendo, da ogni gioia
Per sempre il miglior succo abbiamo tratto.
Sogni di poesia, creazioni dell’arte
Con dolce estasi a noi non agitan la mente;
Cupidi in noi serbiamo un resto di sentire –
Inutile tesoro dall’avaro interrato.
E odiamo casualmente e casualmente amiamo,
Nulla sacrificando né all’odio né all’amore,
E ci regna nell’anima un tal segreto gelo
Seppure fuoco bolla nelle vene.
Ci tediano dei padri i fastosi diletti,
Il lor libertinaggio coscienzioso, infantile;
E senza gioia e gloria ci affrettiamo alla tomba
Beffardamente riguardando indietro.

Malinconica turba presto dimenticata,
Passeremo sul mondo senza rumore e traccia,
Senza gettare ai secoli né il pensiero fecondo
Né l’opera dal genio cominciata. Ed il nostro
Cenere, qual severo giudice e cittadino,
Oltraggerà i futuri come sprezzante verso,
Come lo scherno amaro del figliuolo ingannato
Sul padre suo scialacquatore.

(1838)