Valentina Coccia sulla Sirena dei mari freddi

“La Sirena dei mari freddi” di Roberto Michilli è “un libro che parla della rinascita di una donna”, mi scrisse Valeria Di Felice, editrice e amica.

Quale momento migliore del mio momento peggiore, per leggerlo?

Immedesimarsi in questa giovane donna è stato immediato, naturale come emettere il primo vagito.

Lei, sirena dei mari freddi, così ignara di se stessa, semplice diligente comparsa in quella trama scritta della sua stessa esistenza, ligia a quel copione tanto da non avvertirne più, quasi, la presenza.

Lei, sempre complemento – oggetto – e mai soggetto.

Lei, inghiottita un bel giorno dal buio di quella rampa di scale: ne ho quasi avvertito il dolore, alle costole, ho ruzzolato nuovamente lungo quegli stessi gradini, quelli del male che ti piomba addosso, dall’alto, altrettanto improvviso. Altrettanto ingiusto.

Lei, quel suo piccolo uomo e quel suo grande senso di colpa :“Mi merito questo e altro”. Il vuoto. La solitudine. La maternità ipotecata, il taglio dei capelli. Quella felicità che sembra sempre appartenente all’altrove. Quella corsa a traguardi che sembrano sempre mancati, quella viola accantonata tra la polvere dei giorni che si depositano e stratificano sempre uguali a se stessi. Una vita senza note: cromatiche, musicali, emotive.

E quanto, ancora nostro, Abruzzo in questo volume! Un Abruzzo anelato, sognato, narrato, citato, che si concretizza in quel personaggio, Amelia, nel quale sfido chiunque a non rivedere le amoreroveli cure delle nonne che ci “imparavano il timballo”, con quella apparente durezza forgiata dal lavoro nei campi, in tempi fatti d’una affettività antica, misurata e schiva, in cui la carezza era data col cibo: le “Scrippelle ‘mbusse”, la “Pizzadolce fatta in casa”.

Il tutto in uno stile narrativo che rivela un uso – mai sopruso – sapiente della parola che con poche, decise pennellate delinea la scena, costruisce gli spazi, vi tuffa dialoghi, rapidi tocchi intrisi della medesima tonalità a definire quadri d’una perfetta sintesi: equilibrio ed immediatezza.

E poi che accade? Accadono gli incontri. Quelli che svelano, rivelano, aprono scenari.

Un incontro, particolarmente, che cambia la vita della protagonista. Che sposta definitivamente la prospettiva dal fuori al dentro, in quello spazio intimo che è fondamentalmene la profondità dell’io, così magistralmente figurato dallo scrittore: una stanza, lei che suona nuovamente la sua viola, il mondo esterno che tenta di irrompere e lei che rifiuta la chiamata. Lei. Solo lei. La sua stanza e le sue vibrazioni. Lei e la – sua – finalmente vita.

Devo ammetterlo, voltata l’ultima pagina, ho avuto un attimo di rifiuto. Ho provato fastido. No, non poteva essere quello l’elemento salvifico. Non potevo accettarlo. Dov’era il merito? Dove l’impegno, la forza, la volontà? Un “libro sulla rinascita di una donna”, che invece viene semplicemente travolta dal fortuito, dal fato! Travolta dal fato. Di nuovo.

Qui, come un lampo, il significato profondo.

Questo è un libro sulla speranza. E sulla fiducia. Speranza e fiducia che il bello possa ancora piombarci addosso, dall’alto, così improvviso e casuale come il male.

In un disegno che, in fondo, nella prospettiva del poi, così casuale non pare.

Valentina Coccia

Una lettura come questa può dare senso, da sola, all’intera carriera di uno scrittore. Esprimo la mia profonda gratitudine a Valentina Coccia. Roberto Michilli