Consigli ai governanti

Facile è governare il popolo, ove
Da comune passione esso sia tratto;
Sol non devi lasciarti trasportare,
Con esso farti grande o ad esso pari;
I tuoi pensieri non devi scoprire,
Né domandare ai sudditi consiglio,
Né mai scordare che un benigno motto
Meglio che un mucchio d’oro è con taluno.
Cerca d’essere il primo ovunque e sempre,
Non t’obliare, sii parco ai banchetti,
E non toccare le superstizioni,
Superstizioso sì fatti col volgo;
Temi dapprima la soverchia sorte
E d’avvezzare il popolo a vittoria,
Ché si confessi debole esso ed abbia
Sempre necessità di salvatore,
Ché te non paragoni con alcuno,
E stimi necessaria costrizione;
Sappi di tutto ardito profittare,
E non chiedere alcuna ricompensa!
Il popolo è fanciullo e non vuol dare;
Non tentare strappargli nulla: ruba!

Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841), Ismail-bej, II, 3. Traduzione di Tommaso Landolfi.

Michail Jur’evič Lermontov – La morte del poeta

Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841). Traduzione di Roberto Michilli (versione del 7 gennaio 2014).

                         

Vendetta, Principe, vendetta!
Cadrò ai tuoi piedi:
Sii giusto e punisci l’assassino
Il suo supplizio nei secoli a venire
La tua giusta Corte ha annunciato alla posterità
Perché gli scellerati vedano in esso l’esempio.

 

Il Poeta è morto! – schiavo dell’onore –
è caduto, calunniato,
col piombo nel petto e assetato di vendetta,
ha chinato la testa orgogliosa!…
Non ha sopportato l’anima del Poeta
il disonore delle offese meschine,
contro la società s’alzò
solo come prima… ed è stato ucciso!
Ucciso!… a che serve piangere ora,
intonare inutilmente vacui elogi,
e balbettare patetiche scuse?
Si è compiuta la sentenza del destino!
Forse che per la prima volta avete perseguitato così ferocemente
la sua libera, coraggiosa voce
e per puro divertimento
avete soffiato sul fuoco quasi nascosto?
Ebbene? divertitevi… egli la tortura finale
non poteva sopportarla:
si spense, come una fiaccola, il genio miracoloso,
come una ghirlanda appassì.

A sangue freddo il suo assassino
ha scaricato il colpo… non c’è scampo:
il cuore vuoto batte normalmente,
nella mano non ha tremato la pistola.
Perché stupirsi?… da lontano,
simile a centinaia di fuggiaschi,
a caccia di fortuna e gradi
gettato a noi dalla mano del destino;
ridendo, ha sprezzato con impudenza
della terra altrui la lingua e i costumi;
non poteva salvare la nostra gloria;
non poteva capire in quel sanguinoso istante,
su cosa aveva alzato la mano!…

Ed è stato ucciso – e preso dalla tomba,
come quel cantore, sconosciuto, ma amabile
preda della sorda gelosia,
cantato da lui con tale meravigliosa forza,
abbattuto, come lui, da una mano spietata.

Perché da tranquilli piaceri e semplice amicizia
è entrato in questa società invidiosa e soffocante
per un cuore libero e ardenti passioni?
Perché ha dato la mano a miseri calunniatori,
perché ha creduto a parole e carezze false,
lui, che fin dalla giovinezza aveva capito gli uomini?

E togliendo la precedente corona – una corona di spine,
intrecciata con l’alloro, hanno messo su di lui;
ma le spine nascoste severamente
hanno ferito la gloriosa fronte;
avvelenati i suoi ultimi istanti
da perfidi bisbigli di beffardi ignoranti,
è morto – con una vana sete di vendetta,
con segreto dispetto per le tradite speranze.
Si spensero gli echi dei magici canti,
non risuoneranno più:
angusta, tenebrosa è la dimora del Poeta,
e sulle sue labbra è apposto un sigillo.

_____

E voi, alteri discendenti
di padri celebrati per la nota viltà,
che con piedi servili calpestate le vestigia
di famiglie offese dal gioco della fortuna!
Voi, turba di ambiziosi che circondate il trono,
carnefici della Gloria, della Libertà e del Genio!
Vi nascondete all’ombra della legge,
tacciono per voi giustizia e verità!…
Ma esiste, esiste pure, amici dissoluti, un tribunale divino!
Un giudice terribile, che vi aspetta,
inaccessibile al tintinnio dell’oro,
che conosce in anticipo i pensieri e le opere.
Allora ricorrerete invano alle calunnie:
non vi soccorreranno nuovamente,
e non basterà tutto il vostro sangue nero per lavare
il sangue innocente del Poeta!

1837

Scritta per la morte di Aleksandr Sergeevič Puškin, avvenuta il 29 gennaio (10 febbraio) 1837 in seguito alla ferita riportata nel duello sostenuto due giorni prima con Georges D’Anthes. L’epigrafe è tratta dal Venceslas di Jean Rotrou.

 

Смерть Поэта

 
Отмщенье, государь, отмщенье!
Паду к ногам твоим:
Будь справедлив и накажи убийцу,
Чтоб казнь его в позднейшие века
Твой правый суд потомству возвестила,
Чтоб видели злодеи в ней пример.

Погиб поэт! — невольник чести —
Пал, оклеветанный молвой,
С свинцом в груди и жаждой мести,
Поникнув гордой головой!….
Не вынесла душа поэта
Позора мелочных обид,
Восстал он против мнений света
Один как прежде…. и убит!
Убит!… к чему теперь рыданья,
Пустых похвал ненужный хор,
И жалкий лепет оправданья?
Судьбы свершился приговор!
Не вы ль сперва так злобно гнали
Его свободный, смелый дар
И для потехи раздували
Чуть затаившийся пожар?
Что ж? веселитесь… — он мучений
Последних вынести не мог:
Угас, как светоч, дивный гений,
Увял торжественный венок.

Его убийца хладнокровно
Навел удар… спасенья нет:
Пустое сердце бьется ровно,
В руке не дрогнул пистолет.
И что за диво?… из далека,
Подобный сотням беглецов,
На ловлю счастья и чинов
Заброшен к нам по воле рока;
Смеясь, он дерзко презирал
Земли чужой язык и нравы;
Не мог щадить он нашей славы;
Не мог понять в сей миг кровавый,
На что он руку поднимал!…

И он убит — и взят могилой,
Как тот певец, неведомый, но милый,
Добыча ревности глухой,
Воспетый им с такою чудной силой,
Сраженный, как и он, безжалостной рукой.

Зачем от мирных нег и дружбы простодушной
Вступил он в этот свет завистливый и душный
Для сердца вольного и пламенных страстей?
Зачем он руку дал клеветникам ничтожным,
Зачем поверил он словам и ласкам ложным,
Он, с юных лет постигнувший людей?..

И прежний сняв венок — они венец терновый,
Увитый лаврами, надели на него;
Но иглы тайные сурово
Язвили славное чело;
Отравлены его последние мгновенья
Коварным шопотом насмешливых невежд,
И умер он — с напрасной жаждой мщенья,
С досадой тайною обманутых надежд.
Замолкли звуки чудных песен,
Не раздаваться им опять:
Приют певца угрюм и тесен,
И на устах его печать.
_____

А вы, надменные потомки
Известной подлостью прославленных отцов,
Пятою рабскою поправшие обломки
Игрою счастия обиженных родов!
Вы, жадною толпой стоящие у трона,
Свободы, Гения и Славы палачи!
Таитесь вы под сению закона,
Пред вами суд и правда — всё молчи!…
Но есть, есть божий суд, наперсники разврата!
Есть грозный судия: он ждет;
Он не доступен звону злата,
И мысли и дела он знает наперед.
Тогда напрасно вы прибегнете к злословью:
Оно вам не поможет вновь,
И вы не смоете всей вашей черной кровью
Поэта праведную кровь!

1837

Michail Jur’evič Lermontov – Preghiera

Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841). Traduzione di Roberto Michilli (versione del 13 aprile 2014).

Preghiera

In un momento duro della vita
se pervade il cuore la tristezza:
una preghiera meravigliosa
ripeto a memoria.

Vi è una forza benefica
nella consonanza di parole vive,
e si respira in esse
una incomprensibile e sacra grazia.

Dall’anima come un peso precipita
lontano il dubbio –
e credo, e piango,
e mi sento così lieve, così lieve…

(1839)

 

Молитва

В минуту жизни трудную
Теснится ль в сердце грусть:
Одну молитву чудную
Твержу я наизусть.

Есть сила благодатная
В созвучье слов живых,
И дышит непонятная,
Святая прелесть в них.

С души как бремя скатится,
Сомненье далеко —
И верится, и плачется,
И так легко, легко…

(1839)

 

Michail Jur’evič Lermontov

“Proprio in quel momento ci sono passate accanto due signore che andavano al pozzo: una anzianotta, l’altra invece assai giovane e snella. Non ho potuto distinguere i visi dietro i cappelli, ma erano vestite secondo le severe regole del buon gusto: nulla di superfluo. La seconda aveva un abito accollato gris de perle; una leggera sciarpa di seta le avvolgeva il collo flessuoso. Le scarpe couleur puce si allacciavano con tanta grazia alla caviglia sopra lo stretto piedino che perfino a qualcuno non iniziato ai misteri della bellezza sarebbe sfuggita un’esclamazione, quantomeno di stupore. Il suo passo leggero ma nobile aveva qualcosa di verginale, sfuggiva alla definizione, ma era comprensibile allo sguardo. Quando ci è passata accanto ha esalato quell’ineffabile aroma che si respira a volte sul biglietto di una donna a noi cara.”

da Un eroe del nostro tempo, traduzione di Pia Pera.

Michail Jur’evič Lermontov – Fu un tempo che scrivevo per diletto

Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841), traduzione di Tommaso Landolfi.

Fu un tempo che scrivevo per diletto,
Agitato da sogni fanciulleschi;
Fu un tempo che soffrivo per amore,
E, con anima ardente e tempestosa,
In lievi versi andavo figurando
Delle arcane visioni il caro sciame.
Ma i giorni di speranza non faranno
Più ritorno, tradito ha il primo amore!…

da L’ultimo figlio della libertà, 1831.

Michail Jur’evič Lermontov – [Non t’amo: di passioni e pene…]

Michail Jur’evič Lermontov (1814-1841); traduzione di Tommaso Landolfi.

Non t’amo: di passioni e pene
È via volato il sogno primo,
Ma l’immagine tua dentro il mio cuore,
Benché impotente, è viva ancora;
Ad altri sogni abbandonato,
Io scordarla però non ho potuto:
Il tempio disertato è pure un tempio
E l’idolo abbattuto è pure un dio!

(1831)

Al popolo egli si mostrava…

Michail J. Lermontov (1814 – 1841)

Al popolo egli si mostrava,
Le sue vittorie enumerava,
Lo convinceva con parole scaltre!
La mano dell’accorto seduttore
Giocava colla turba sciocca,
Ed i nobili cuori nel frattempo
Si struggevano di segreta angoscia…

L’ultimo figlio della libertà (1831), traduzione di Tommaso Landolfi

Sulla strada esco solo; tra la nebbia

Michail Jurevič Lermontov (1814-1841)

Musica di Elizaveta Shashina (1805-1903);
canta Serghej Jakovlevič Lemescev (1902-1977).

Sulla strada esco solo; tra la nebbia
Il sassoso cammino luce; è notte
Calma. Il deserto porge orecchio a Dio,
E le stelle parlano tra loro.

Mirabile e solenne il cielo!
Dorme la terra in un azzurro nimbo…
Cosa dunque m’opprime, e mi fa male?
Che cosa aspetto, che cosa rimpiango?

Nulla più aspetto dalla vita,
E non rimpiango per nulla il passato;
Libertà cerco e pace! Ecco, vorrei
Abbandonarmi, addormentarmi!

Ma non del freddo sonno della tomba…
Addormentarmi sì, che fosse in petto
Sopita la vitale forza, ed esso
Si sollevasse piano nel respiro;

Che notte e dì, blandendomi l’udito,
D’amore mi cantasse dolce voce,
Che sopra me, in eterno verdeggiando,
S’incurvasse e frusciasse bruna quercia.

(1841)

Traduzione di Tommaso Landolfi.